LEGGERE STEINBECK con la fidanzata poliziotta 1^pt | Fabrizio Mari

Tra finzione e realtà…

Alla parata militare quel giorno c’era un sole talmente insidioso che quasi tutti portavano gli occhiali scuri bene calcati sugli occhi.

Una signora bassa, tarchiata e tutta sudata, sulla cinquantina, che teneva un’andatura piuttosto maldestra, stava sgomitando per avere la prima fila.

Non aveva l’anello all’anulare sinistro. Smaniava come dovesse presiedere lei la cerimonia. Insieme con lei c’erano centinaia di madri, fratelli, padri, sorelle, fidanzate, mariti, fidanzati, mogli, parenti tutti lì radunati per il giuramento dei nuovi poliziotti e poliziotte.

C’erano invero tante persone e molte erano vestite in modo semplice. Qualcuno si era portato da casa un poco da mangiare, ossia del formaggio, delle uova sode, del radicchio e dell’insalata già conditi, del pane e qualche bottiglia di vino.

Ci va sempre del coraggio liquido quando uno assiste ad una parata militare.

C’erano pure persone assai anziane, di sicuro nonni e nonne delle nuove forze che di lì a poco avrebbero ingrossato il corpo della polizia.

Eravamo in tanti. Tantissimi. Io indossavo dei jeans da me scoloriti con la varichina ed una maglietta verde. E le scarpe gialle. Mi pareva di essere anche piuttosto elegante.

Tanto mia sorella non mi avrebbe di certo giudicato. Del resto, è una Mari pure lei.

I Mari raramente giudicano. Se no non sarebbero Mari.

Ero a Padova per il giuramento di mia sorella. Sarebbe diventata di lì a poco poliziotta.

Una Mari poliziotta. Roba da rimanerci secchi, dico sul serio.

Non vi dico quante gliene disse nonna quando mia sorella le confidò quel suo desiderio grande. Io quel giorno non c’ero. Ero col Caralli ed Alessandro nella Pescia a prendere i ranocchi. Non eravamo scemi, forse un pochino di più.

Queste cose che qui scrivo le so dai miei vicini. Nonna, con quel suo fare spiccio, ma allo stesso tempo profondamente comprensivo, diede in escandescenze. C’è chi mi ha raccontato, giurando di dire il vero, che nonna la rincorse nell’aia tra le oche e le galline sbalordite da tutto quel baccano, brandendo la scopa di stipa, urlandole dietro se non le bastasse avere uno dei suoi fratelli con qualche tacca nel cervello e pure interista.

Che poi, detto tra noi, quello sarei io.

Ma mia sorella questa cosa non me l’ha mai detta. Ma io ci ho riso quando l’ho saputa perché è la verità. E chi se ne importa. Non mi interessa. Voglio troppo bene a nonna e a mia sorella e queste chiacchiere mi scorrono via sulla giubba senza fare danno alcuno.

Io arrivai tardi quella mattina, però trovai parcheggio quasi vicino alla caserma. Ci fu pure qualche poliziotto che mi guardò in modo strano. Tutti quelli in divisa mi guardano in modo strano, non so perché. Anche i preti a volte mi guardano in malo modo, ma io non ho fatto nulla di male nei loro confronti. Vado in chiesa soprattutto per vedere i quadri appesi alle pareti e le sculture medioevali sopra gli altari.

Io andai verso il luogo del giuramento, così come mi aveva spiegato per bene mia sorella al telefono la sera prima. Ero quindi abbastanza tranquillo. Un pochino eccitato, questo è ovvio; non è da tutti avere una sorella, e pure bella, che sta per diventare poliziotta. Peccato che nonna quel giorno non fosse lì. Ah, mi sarei divertito un mondo se lei fosse stata lì con me! Quante ne avrebbe dette! E quante battute avrebbe detto! Non le sarebbe bastata quella immensa piazza d’armi! Nonna sparava commenti a raffica contro tutti, un po’ meno con me. Non gliene importava un fico secco di chi avesse accanto. Apriva la bocca e diceva certe cose che pure io rimanevo imbarazzato e allo stesso tempo fiero di essere suo nipote.

Pensava con la lingua, ecco, e lei ne andava tremendamente fiera.

Era caduta dalla scala pochi giorni prima mentre coglieva le pesche e quel giorno se ne stava beata in camera sua a leggere l’ultimo numero di Vanity Fair. Nonna aveva 92 anni e leggeva senza occhiali, accidenti a lei! Ed io che li ho da quando ho vent’anni.

Quella mattina avevo bevuto tre caffè macchiati col latte scremato ed avevo fumato una mezza sigaretta dall’eccitazione.

Non potevo farmi notare troppo, però. Accidenti, ero pur sempre dentro una caserma stracolma di uomini con la giubba blu ed i pantaloni o la gonna grigio azzurro.

Non vedevo l’ora di assistere al giuramento di mia sorella. Eravamo rimasti d’accordo che voltandosi dalla mia parte, qualora mi avesse individuato tra la folla, mi avrebbe fatto l’occhiolino. Era il nostro segnale che ci facevamo quando eravamo piccolini e ci rincorrevamo tra i solchi del granturco o tra le porche dove stavano spuntando le rape.

Mia sorella è buffa. Molto più simpatica di me. E molto più bella di me, ovvio.

Mi piace da morire perché è l’esatto opposto mio.

Non so se la conoscete. Probabile che vi abbia fermato a qualche posto di blocco sulla Pesciatina.

Lei di solito batte quella strada lì.

Sì, lo so, detto così suona male, ma lo faccio apposta, così lei si arrabbia; a parte gli scherzi, se vedete una bella pannocchiona coi capelli corti e biondi, vestita con la montura da poliziotta, state pur sicuri che è mia sorella Silvia.

Lei è parecchio diversa da me. Ma è pur sempre una Mari.

Parla troppo anche quando non è in servizio e gesticola che pare un mulino a vento in preda alla tramontana, mentre io sono più sobrio, parlo poco e sono timido.

Io sono tremendamente timido. L’unica cosa che so fare è scrivere, Silvia lo sa.

Mia sorella è quella che io avrei voluto essere e non sono diventato. A parte essere poliziotto. Sa tutto di qualsiasi cosa o, meglio, fa intendere di sapere tutto di qualsiasi cosa.

È una Mari, va presa così com’è.

Ora che mi viene in mente, ricordo che decenni fa mentre facevamo l’albero ed il presepio sotto le feste di Natale lei era fissata con le lucine blu. Lei voleva le lucine blu ovunque, anche intorno alla mangiatoia del Cristo. Io non è che fossi esperto di lucine, tanto meno quelle blu, ma mi sembra che avrebbero dovuto essere o bianche o rosse come le stelle di Natale. Noi a scuola si faceva così.

Lei invece, testarda come una Mari, le voleva blu. Anche nonna, che però se ne stava zitta, rideva in silenzio ed ogni tanto mi guardava, perché stranamente dava ragione a me.

Dove mai si erano viste le lucine blu intorno al bue e all’asinello e sul capo del neonato Gesù?

Io rimanevo scioccato però mia sorella le aveva tutte vinte e a me stava pure bene perché andavo e vado d’accordissimo con lei. Certo, non è punto facile parlare con una sorella poliziotta, specie poi se è un pochino più alta di me.

A lei chiaramente racconto il giusto ma lei non è stupida, è una Mari, le basta digitare il mio nome e cognome sul computer della questura e salta fuori tutto. Praticamente, la morte.

Non che abbia corsie preferenziali, questo no, ed infatti i suoi colleghi e colleghe mi fermano via via e se mi dicono se sono il fratello della Silvia certo che dico di sì, è mia sorella, e loro procedono secondo la prassi. Conosco la questura dove lavora Silvia come l’albergo dove lavoro.

A volte gli uomini in blu e coi pantaloni grigio azzurro mi offrono anche la colazione, ma non perché sono fratello della Silvia.

(continua)