Cara nonna Armada,
Oggi sono sette anni che sei morta. Se avessi aspettato tre dannate settimane avresti compiuto cento anni. Te invece hai avuto furia di morire.
Pensa un po’: io avevo già prenotato dal Mariani la crostata di fragole con la panna, di cui eri piuttosto ghiotta. Che poi sei morta che faceva un freddo cane anche in casa, nonostante il caminetto acceso. Ma te lo so, avresti lo stesso voluto per il tuo compleanno la crostata di fragole e panna.
Una bronchite ti ha mandato al cimitero in due giorni. Ah, comunque la crostata non era male. Pensa che anche il becchino, il mio amico Claudio, piangeva.
Io che poi non avevo mai visto un becchino piangere.
E sì che ne ho visti di funerali quando ero ragazzino.
Io che ho sempre pensato che il becchino fosse una di quelle categorie di persone che per motivi professionali non dovrebbero mai farsi vedere piangere in pubblico. Come i preti, i notai, gli avvocati, gli assicuratori, insomma tutti quelli che campano sulle disgrazie altrui. Ed il becchino, beh, direi proprio che rientra in questa del tutto rispettabile categoria.
Forse perché mentre tiene la pala piena di terra in mano non saprebbe asciugarsi le lacrime.
Di solito il becchino scava la fossa, prepara le funi per calare la bara, poi la ricopre per bene a grandi palate di terra e poi magari dopo aver finito il lavoro va al bar col prete a bere un caffè corretto. Io mi immagino così la scena quando toccherà a me.
Spero solo che il mio becchino non sia astemio. Claudio sarà già in pensione, forse. Chi prenderà il suo posto brinderà alla mia salute eterna. Già lo ringrazio in anticipo.
Claudio quel giorno piangeva perché scavava la fossa ad una brava donna e ad una brava nonna.
Sei morta vecchia, l’ha detto anche il nostro pretino dall’altare e lì scusami ma ho sorriso che mi hanno di sicuro visto tutti, perché lui voleva intendere morta di vecchiaia; ho messo i miei quattro occhi fissi nella bara marrone pronta per il grande viaggio, come dicevi te. Spero solo che il biglietto sia valido se no sono guai, nonna Armada.
Sei morta il 25 di febbraio.
L’ho pure tatuato sul polso destro il numero 25. Così non mi dimentico che sei stata mia nonna.
Tutte le volte che mi guardo il polso ti penso. Per me è come se te non mi avessi mai lasciato. Per me te sei stata la nonna. Anzi, nonna.
Voglio ora parlarti in breve del tuo funerale. È stato un giorno meraviglioso. Bellissimo.
Ti ho detto che ho sorriso quando il nostro pretino ha esclamato a braccia aperte, che pareva un aquilone, che sei morta vecchia. Ebbene, ho pure sorriso quando eri tutta avvolta dalla nube di incenso che usciva dal turibolo che pareva impazzito tanto si agitava ed ho avuto paura che fosse la cassa dove dentro c’eri te che prendeva fuoco. Sono sicuro avresti riso.
Te me lo dicevi sempre che bisogna ridere anche nelle situazioni difficili. Soprattutto in quelle. Uscirne con una frase lì per lì un poco scema a volte ci salva da una situazione particolare. Te mi hai insegnato. Devo dirti che sono diventato piuttosto bravo. Al massimo mi danno dello stupido, ma non è che poi mi importi molto. Se sei stupido o fai finta di esserlo hai meno problemi di uno che è intelligente. Chi è chi cerca uno stupido?
Ma torniamo al tuo meraviglioso funerale. Il pretino era tutto lindo e profumato. Ha pronunciato un’omelia splendida. Ha citato Massimo il Confessore, san Benedetto, sant’Ignazio di Antiochia e Caterina da Siena, la tua santa preferita.
Glielo ho detto io al pretino di rammentare qualche frase della tua amata santa, una tra le donne più in gamba del medioevo.
Alla fine dell’omelia siamo rimasti tutti in silenzio, immersi fino alla gola in una valle di lacrime. Per un attimo ho temuto che qualcuno volesse applaudire. Meno male siamo stati tutti immobili.
Io ho letto la seconda lettura, dove il vecchio san Paolo parla sull’amore e sulla carità. Con san Paolo vai sempre sul sicuro, sia per i funerali sia per i matrimoni. È come la giubba con la cravatta. Sì, mi ero fatta la barba, tranquilla nonna. Non ti ho fatto sfigurare.
Ma te sai chi ha letto la prima lettura? Non ci crederai mai, eppure eri lì tutta circondata da mazzi di fresie che pareva stare dentro una serra anziché in una chiesa. L’hai riconosciuta di sicuro la sua voce.
Insomma, la prima lettura l’ha letta la Chiara, la mia amichetta, quella che a te non piaceva punto, però riconoscevi che era bella, dicevi che era bella ma un po’ stordita. Beh, credo tu avessi ragione, bella lo è, ma è se possibile più stordita di me, anche se ora mi pare migliorata. A proposito, mi sa che si fa sbattezzare, così mi ha detto. Si fa togliere dal registro dei battezzati. Io boh, tutte le sceme mi piovono addosso. Lo dice anche il mio titolare Pietro.
Pensa te, nonna, sbattezzata e juventina. Non avrei potuto chiedere di peggio. Però è buffa e mi fa ridere. No, nonna, non ha le terre e nemmeno greggi di capre come a te piacerebbe. Fa il suo lavoro verso Pisa, in una banca dove raccolgono soldi, e la mattina appena si alza è bella come il rumore della pioggia sui tetti. Se si fa una figliola si chiama Armada in tuo onore.
L’ho vista ieri notte la Chiara. Forse andiamo a vivere insieme. Te lo hai sempre saputo che avevo un debole per le stordite. La Chiara è una stordita con un certo talento.
Insomma, oggi ho voluto scriverti.
Una di quelle lettere che ti scrivevo sempre ogni estate dalla colonia a Massa, ricordi?
Appena arrivavo là andavo subito a comprare la cartolina e ti scrivevo quello che avrei fatto in quelle due settimane alla colonia perché avevo paura che la cartolina non arrivasse in tempo. Chissà cosa pensavi quando la leggevi. Io mi sono divertito con te, nonna Armada.
Io sceglievo quelle cartoline dove c’erano le donne spupporate, come dicevi te.
Buffo il fatto che sullo sfondo c’erano sempre le Apuane e poi loro con indosso uno striminzito reggiseno tutto colorato.
Ho capito solo dopo che lo facevano apposta per fare la rima tra le vette montuose e le punte del seno.
Io ti spedivo queste cartoline perché immaginavo la faccia della nostra postina quando te le consegnava. Era buffa anche lei, la postina voglio dire. Mi stava simpatica.
Franca, credo si chiamasse Franca. Era tua amica amica, vedova pure lei.
Ci deve essere qualche filo strano che mette in collegamento chi è vedova.
Io vedevo che vi cercavate ogni mattina. Te che davi il granturco spezzato alle galline e lei con quel borsone marrone che urlava chiamandoti sciorinando la posta come fosse un telo in preda al vento.
Spero di non averti svegliato.
Ricordi quando ti svegliavo perché volevo che mi facessi l’uovo con lo zabaione?
Ed io che entravo in classe che profumavo di alcool e la maestra Paola mi faceva l’occhiolino perché sapeva che me lo avevi dato te. E per fortuna ho avuto te.
La scorsa notte che faceva freddo ti ho sognato. Eri come sempre.
Col grembiale rosso che te facesti quando eri una bimba, questo me lo ricordo, e tenevi in mano un bicchiere, credo fosse karkadè, ricordo che a te piaceva e me lo davi quando imbruniva il cielo. A me non piaceva, ma te me lo facevi lo stesso insieme col pane, burro, acciuga e scorza di limone. E poi di nascosto da mamma mi davi un goccio di caffè, di quello buono. Sapevi che mamma non voleva che bevessi il caffè perché mi agitava.
Ti saluto perché se no mi metto a piangere e te non vorresti.
Sappi che avrei voluto avere i tuoi occhi perché sapevi leggere il mondo in un modo incredibilmente saggio e vero.
Ciao, nonna Armada.