DOV’E’ FINITO SAN FREDIANO? A proposito del restauro a Malocchio | Amleto Spicciani

Dov’è finito San Frediano nel restauro della pala di altare cinquecentesca nella chiesa di Malocchio? Il ruolo della sovrintendenza. Le “colpe” della restauratrice. I soldi…di Giovanni Spadolini.

di AMLETO SPICCIANI

Quando vidi i risultati del restauro, mandai al sovrintendente di allora, Antonio Paolucci, una lettera di protesta feroce, di fuoco; tanto feroce che egli dopo cinquant’anni se ne ricordava ancora. Anche perché mi dava ragione, e concordava con l’idea che per un oggetto destinato al culto non si possono usare gli stessi criteri di restauro che si applicano ad oggetti da porsi nei musei. Nel primo caso le trasformazioni storiche – per non offendere la sensibilità dei fedeli – vanno prese in seria considerazione. Purtroppo però ormai il danno era fatto, e la culpa era mia che mi ero fidato della sovrintendenza e che, soprattutto, non avevo attentamente seguito le fasi del restauro per impedire arbitrarie trasformazioni.

Ma veniamo alla concretezza del fatto. Nell’aprile del 1971 quando il vescovo, su mia richiesta, mi affidò la parrocchia di Malocchio, si preoccupò che avvisassi la sovrintendenza delle pessime condizioni in cui si trovava una preziosa pala di altare cinquecentesca di quella parrocchia. Cosa che immediatamente feci con successivi insistenti interventi. Finalmente, nell’aprile del 1972 il giovane Antonio Paolucci venne a prelevarla per un urgente restauro. La pala, opera di un ottimo pittore anonimo, ha al centro la Beata Vergine tra due santi, san Benedetto in abiti monastici e (allora c’era) san Frediano, il titolare della chiesa, con il pastorale e gli abiti liturgici. San Frediano è infatti l’antico vescovo di Lucca e la chiesa di Malocchio è stata per secoli sul confine con Pistoia della diocesi lucchese. La gente chiamava e chiama tuttora questo quadro, il quadro di San Frediano. Oggi il san Frediano è sparito, e al suo posto, dopo il restauro, è apparso un santo monaco (che suppongo sia san Placido), che nessuno aveva mai visto prima, poiché è venuto fuori per opera della restauratrice, che ha spogliato dei suoi paramenti il san Frediano, titolare della chiesa, di cui la gente fa memoria il 18 novembre, come fanno a Lucca.

Sappiamo infatti che la chiesa di Malocchio fino al 1783 era una coppella monastica dipendente, cioè di proprietà, della Badia Fiorentina (via della Condotta, 4, Firenze). Fu completamente restaurata nel 1571 dall’abate Zanobi, il quale sicuramente la volle arricchire con la suddetta pala, che ha una iconografia tipicamente benedettina. Essa infatti porta lo stemma di Badia, tre barre verticali bianche su fondo rosso, che è anche presente, scolpito, sull’architrave del portone di ingresso. Nel 1783, soppressa dallo Stato la Badia Fiorentina e incamerati i suoi beni, la chiesa di San Frediano di Malocchio fu eretta in parrocchia, e molto probabilmente in quella occasione (ma la cosa andrebbe accertata con qualche ricerca archivistica) si pensò, giustamente, ad una iconografia meno monastica e più parrocchiale, facendo rivestire la figura del monaco, che meglio si prestata all’operazione, con i paramenti episcopali di un possibile san Frediano. La restauratrice, seguendo i criteri suggeriti dalla sovrintendenza, senza che io mi preoccupassi di intervenire, ha offeso involontariamente (o no!) la devozione popolare: ma che importanza ha? Tanto, i giovani sono indifferenti e i vecchi sono come storditi dai quotidiani cambiamenti, del suono delle campane, degli abiti liturgici, delle parole, delle immagini e dei gesti di una liturgia in continuo movimento.

Ce n’è per tutti i gusti, si sente parlare perfino di una pastorale delle polpette, le polpette di San Martino. A proposito delle polpette, ho letto sui giornali che a Lucca stanno restaurando il Volto Santo e sono morbosamente curioso di conoscerne i risultati, perché a Lucca per fortuna ci sono i lucchesi. I quali, mi si dice, non solo hanno concordato i criteri di intervento, ma addirittura hanno voluto che il gabinetto di restauro fosse allestito, per un efficace controllo, nella sagrestia della cattedrale di San Martino, facendo forza sul fatto che pagano loro. Questo fu infatti il punto debole del mio caso, che nella nostra povertà pagò lo Stato; e anzi ne debbo la riconoscenza a Giovanni Spadolini, poiché allora, pur nella sproporzione, eravamo colleghi di docenza universitaria.