La banalità del male, il nostro dolore | Enrico Parrini

Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz rivelando quello che la follia dell’ideologia nazista aveva potuto concepire contro il genere umano, lo sterminio di migliaia di persone che avevano avuto la sola colpa di esistere.

L’olocausto è diverso da tutti gli stermini e gli orrori di cui è  stato capace l ‘uomo nella sua tragica storia. E’ la distruzione pianificata di esseri umani, in modo razionale, organizzato, industriale, senza distinzione di età, sesso, opinione politica o religiosa solo perché compresi in categorie che si è deciso di sopprimere per atavici pregiudizi o per fantomatiche teorie.

Questo orrore  è stato concepito ed attuato nel cuore dell’ Europa da parte di una Nazione civile, in un modo che lascerà sempre, in tutti i secoli, attoniti ed increduli.

Una giornalista, Hanna Arendt, seguendo il processo che si è tenuto in Israele nel 1961 ad Adolf Eichmann, tenente colonnello delle famigerate SS, ha cercato di capire.

Il suo lavoro si è  tradotto in un famoso libro dal titolo, “La banalità del male” .

Eichmann era un burocrate, non era un soldato combattente, era un membro delle SS, la milizia politico militare del partito nazionalsocialista. Si era arruolato per fare una carriera sicura, come avrebbe potuto fare in un altro settore del pubblico impiego, ma in quel corpo politico c’erano le migliori possibilità. Non era un altissimo dirigente, non apparteneva al gotha degli ufficiali.

Eichmann non aveva l’aspetto di un mostro, era un uomo ordinario, anonimo, quasi banale. La sua specialità erano gli affari ebraici e sapeva trattare molto bene con le persone, sempre gentile e misurato.

Il suo contributo alla politica del partito che, in un primo momento, non voleva più la presenza di persone di religione ebraica in Germania, era quello di organizzare la loro deportazione in campi fuori dal territorio tedesco e, secondo il suo personale progetto,  confinarle poi in Madagascar.

Quando nei campi di concentramento si passò alla soluzione finale, cioè alla soppressione fisica delle persone, Eichmann continuò il suo lavoro con lo zelo che lo contraddistingueva, ben sapendo cosa veniva perpetrato in quei luoghi dell’orrore.

Eichmann personalmente non era un sadico, non era un torturatore, era un organizzatore che ha fatto quello che gli si chiedeva di fare, lavorando per lo stato di diritto che lui serviva, eseguendo le direttive che gli venivano date con scrupolo e precisione.

La sua visione etica era solo quella di servire lo stato in cui credeva.

Il Male assoluto può concretizzarsi semplicemente così, nella mancanza di senso morale, di senso della giustizia, di umana pietas, nella necessità di obbedire a qualcuno o qualcosa. Eichmann non si è mai chiesto quale fosse in realtà la differenza tra bene e male in quello che faceva. Si è sempre comportato in maniera grigia, fredda, impersonale…banale, in modo ancor più  spaventoso ed orribile.

A noi rimane solo la pietà per tutta la sofferenza che è stata causata e la fermezza nel credere sempre nella sacralità della vita e nella dignità di ogni uomo. Enrico Parrini