Vannino Chiti: “Triste contrapposizione tra Europa del nord e del sud”

di Carlo Pellegrini

Senatore Chiti a chi può essere imputata, a suo avviso, la causa principale di questa pandemia?
«La causa principale è nota. Un virus che nella città cinese di Wuhan si è sviluppato attraverso una trasmissione da pipistrelli a pangolini, animali di cui là ci si nutre, passando poi all’uomo. È la causa immediata. Tante altre epidemie però sono nate negli anni e sono in corso: Sars, Mers, Aids. Da noi in Occidente non sono arrivate o sono state maggiormente contenute per cui ci siamo ritenuti vaccinati in automatico da ogni epidemia. Le conseguenze sono state quelle di non dotarsi nei paesi dell’Occidente di misure già adottate in nazioni dell’Asia: mascherine, screening etc. Se ci pensa un attimo noi ad ora abbiamo un solo strumento per contenere il contagio: l’isolamento. Si faceva così da dopo il mille con la peste e lì siamo. Non abbiamo ascoltato l’organizzazione Mondiale della Sanità che ci metteva in guardia dai rischi. Abbiamo indebolito la sanità pubblica sottoponendola alle leggi del mercato, valide, se c’è una programmazione democratica pubblica, per un’economia che non smarrisca tuttavia le funzioni sociali (come magistralmente è scritto nella nostra Costituzione). Allora dobbiamo interrogarci su cause di fondo che a mio parere si chiamano distruzione dell’ambiente, di tante specie viventi, di piante, di una natura sottoposta a sfruttamento intensivo, di un aumento del clima che sta sciogliendo i ghiacciai. Non io, ma gli scienziati ci dicono allarmati che non conosciamo se da ciò si libereranno virus sconosciuti che incontreranno l’uomo. Da qui misure da prendere immediatamente appena sconfitta l’epidemia del coronavirus: vietare ovunque i mercati di fauna selvatica; potenziare la sanità pubblica, aumentando il numero di medici e infermieri; investire risorse in laboratori di ricerca e rafforzare nel mondo la cooperazione scientifica; realizzare ospedali o comunque ampliare i padiglioni e le dotazioni (ad esempio i posti in rianimazione) per malattie infettive. Più in generale ancora ma strettamente connesso preoccuparci della sfida climatica e del nostro pianeta, la Terra. Non ne abbiamo un altro!».

Ritiene che la causa di questo coronavirus sia provocata anche dalla globalizzazione?
«La globalizzazione ha consentito uno sviluppo dell’epidemia a livello mondiale questa volta, perché il virus, sconosciuto, ha una capacità di contagio elevatissima e i rapporti -economici, di mobilità, culturali, sportivi- sono ormai diffusissimi. Non ci facciamo illusioni: sono irreversibili. Non si può fare niente allora? Al contrario, si deve fare molto. Il mondo è globale ma quello che si può e si deve cambiare è il suo governo. Finora la globalizzazione è stata diretta dalla finanza, dal pensiero unico del neo-liberismo, dalla priorità assoluta del profitto e da leggi del mercato che sono state assunte come la divinità del nostro tempo, come onnicomprensive e totalizzanti. La globalizzazione ha bisogno di un governo democratico, che metta al centro la dignità di ogni persona, il bene dell’umanità e dei popoli. E dunque, come ci ha insegnato papa Francesco nell’enciclica Laudato sì, la priorità dell’ecologia o meglio della giustizia sociale ed ecologica. Per muoverci su questa strada è necessario anche rinnovare la democrazia, le sue istituzioni: rafforzare l’ONU, qui in Europa dare vita ad una vera democrazia federale. Siamo in ritardo, non in anticipo. Bisogna non dimenticarcelo appena fuori dal tunnel del coronavirus».

Come valuta la divisione dell’Europa sulla proposta avanzata da 14 paesi di sostegni economici straordinari per far fronte alle esigenze di rilancio dell’economia dopo il superamento della pandemia?
«Valuto negativamente non solo il rifiuto al momento di strumenti innovativi, come gli eurobond (o coronabond, il nome non ha importanza ovviamente), ma anche la triste immagine di una contrapposizione tra nazioni del nord -Olanda e Germania- e nazioni del sud -Italia, Francia, Spagna -, un’immagine che dipinge in modo netto la lontananza tra l’oggi e una democrazia federale. Intendiamoci, ne abbiamo parlato proprio con lei in un’altra occasione, non sottovaluto alcune decisioni prese dall’Unione Europea che vanno nella direzione della solidarietà. Penso ad esempio ai 1110 miliardi di euro stanziati dalla Banca Centrale Europea per acquistare titoli di stato, alla redistribuzione di fondi europei non utilizzati, per noi circa 9-10 miliardi, alle misure per lavoratori e imprese adottate dalla Banca Europea per gli investimenti. Importanti ma non sufficienti. Per ripartire occorrono risorse ulteriori e soprattutto strumenti nuovi. Ne ha parlato con grande forza e autorevolezza lo stesso papa nell’omelia di Pasqua. Vede com’è il nostro presente, quali siano le sfide politiche democratiche? Senza Europa sarebbe per tutte le nazioni, nessuna esclusa, la decadenza. Le destre reazionarie, in Italia Salvini e Meloni, non lo capiscono e propongono narrazioni ideologiche arretrate almeno di due secoli. Ma non va bene neppure così. Non possiamo accontentarci di questa Unione. Abbiamo bisogno di una democrazia federale che decida su politica estera, di difesa e sicurezza, sul clima, sulle scelte macroeconomiche, sulla redistribuzione solidale dello sviluppo al suo interno. Il presidente del governo europeo deve essere scelto da noi cittadini e il Parlamento, eletto con un’unica legge elettorale, deve controllare l’esecutivo. Sarò chiaro: non possiamo indugiare ancora. Le nazioni che sono disponibili a procedere, vadano avanti. Chi non vuole, resti in un rapporto economico-finanziario con le altre. Se in futuro se la sentirà e se sarà disposto a cedere ambiti di sovranità, si aggiungerà. Ma ora niente freno a mano tirato. È il momento dell’acceleratore».

Ritiene che l’Europa abbia dato testimonianza di sensibilità e di solidarietà nei confronti dei paesi colpiti dal covid 19?
«Ritengo che tutte le nazioni europee siano state prese alla sprovvista, si siano mosse dentro l’emergenza e a volte l’impressione data è risultata peggiore della realtà. Ad esempio, la Germania ha preso in carico malati che non trovavano posto in una fase in centri di rianimazione in Italia o in Francia. Chi se n’è accorto? Del resto chi dava solidarietà doveva farlo senza troppa esibizione, non solo per senso della misura, giusto e nobile, ma per un soffiare sul fuoco di quelle destre estreme antieuropeiste presenti in ogni nazione. Dunque no, la solidarietà non è stata manifestata né realizzata in modo sufficiente. Le ragioni e i responsabili? In Austria come in Olanda, nella repubblica Ceca come in Ungheria, dove Orban ha dato un colpo alla democrazia e allo stato di diritto, sono state quelle forze politiche che urlano non viva la solidarietà e la cittadinanza europea, bensì prima gli olandesi, gli austriaci, gli ungheresi etc. Ci ricordano qualcosa? Di chi sono amici e alleati? Mi sbaglio se dico della Lega e dei Fratelli d’Italia? No, non mi sbaglio. È la pura realtà dei fatti».

Quale scenario di natura economica, secondo lei, si prospetta al termine di questa pandemia?
«Il colpo alle nostre economie, ovunque, è durissimo. Il rischio di recessione è più che probabile. Per questo ci vogliono all’interno dell’Unione Europea strumenti nuovi. Ma al tempo stesso occorre ovunque sapere rivedere i capisaldi dello sviluppo. Bisogna selezionare le priorità, i settori d’intervento, le modalità del lavoro, le gerarchie dei consumi. Guai a cercare di comprimere ancora i diritti di chi lavora, la sicurezza sui luoghi di lavoro, le retribuzioni. Per me è necessaria una grande rivoluzione industriale, nel segno dell’ecologia. Sa quanti posti di lavoro si potrebbero creare nelle energie rinnovabili, nella messa in sicurezza e nella valorizzazione del suolo, in una agricoltura e allevamento non intensivi? Quanti nello sviluppo obbligatorio, nella diffusione della digitalizzazione? Istruzione, sanità e ambiente sono da anteporre ad ogni calcolo. Sono beni per la comunità. Le dirò un’altra cosa, che farà inorridire i cultori dell’ideologia neo-liberista: ci sono attività fondamentali che non possono essere fatte fallire, che occorre promuovere. Se necessario deve farlo lo Stato. È indispensabile riorganizzare la mobilità, nelle città e tra città e nazioni. Tuttavia nel nostro futuro non ci sarà sicurezza se non capiamo una lezione, che è etica ma senza la quale non ci saranno progresso economico e civile: l’umanità è un’unica famiglia; la priorità delle priorità è il bene comune senza il quale non si realizza quello dei singoli. Le risorse investite per costruire armamenti sono un crimine contro l’umanità. Le risorse ci vogliono per un nuovo sviluppo, il welfare, la rivoluzione verde, il diritto al lavoro non per fomentare guerre e distruzioni. Esistono armamenti in grado di distruggere decine di volte il mondo, il nostro pianeta. Non ci basta? Non è il caso di ridurle e metterle al bando?».

A parer suo, le conseguenza di questo blocco mondiale determinerà un processo economico deflattivo?
«A questa domanda ho in gran parte risposto prima. Voglio sottolinearlo di nuovo: si, c’è questo rischio. Siamo appena usciti e forse non del tutto dalla grave crisi scoppiata nel 2008 a partire dagli Stati Uniti, la crisi di origine finanziaria dei subprime. Per evitare o almeno attenuare il colpo occorre muoversi su un’altra strada rispetto al passato. Investire sul welfare, a cominciare da sanità e istruzione sulla ricerca; su una rivoluzione industriale verde, la chiamo così, deve essere così perché abbiamo bisogno di uno sviluppo, non di tornare al tempo delle carrozze, ma innovativo. Dobbiamo investire su una mobilità non inquinante, sulle energie rinnovabili, sull’estensione del digitale. Per questo sono indispensabili le risorse, non ce la possono fare i singoli Stati. Per questo ci vogliono strumenti inediti e ci vuole l’Unione Europea, una Unione che si incammini con decisione nella direzione di diventare quanto prima quella democrazia federale di cui non solo noi, ma il mondo ha bisogno».