Andrea Fortunato: trent’anni fa la perdita di una grande speranza del calcio. Intervista di Carlo Pellegrini

Era il 25 aprile 1995, trent’anni fa, quando, Andrea Fortunato, il giovane calciatore della Juventus,  ci lasciava. Non aveva compiuto nemmeno 24 anni essendo nato il 26 luglio 1971.
Nella primavera del 1994, precisamente nel maggio, a seguito di ulteriori accertamenti medici  presso la Divisione Universitaria di Ematologia delle Molinette di Torino il responso fu terribile: leucemia acuta linfoide! Il mondo del calcio e non solo rimase attonito. Nessuno avrebbe minimamente immaginato una sentenza del genere!
In un primo momento l’esito delle terapie applicate sembrava positivo quando invece un’ influenza tremenda lo strappò da questa vita.
La prematura scomparsa di Fortunato si fa ancora oggi sentire…
Con l’ex noto calciatore Sergio Porrini, che vestì la maglia anche di Atalanta e di Juventus, abbiamo voluto ripercorre le vicende sportive e umane di Andrea Fortunato.

D. Porrini, quali sentimenti le suscita il ricordo di Andrea Fortunato a trent’anni dalla scomparsa?
R. «I sentimenti sono contrastanti, perché ci sono quelli belli per aver passato insieme una parte di stagione, e quelli brutti della malattia…».

D. Insieme a lui giunse alla Juventus, cosa ricorda di quell’esperienza?
R. «Io e Andrea fummo acquistati insieme dalla Juventus nello stesso anno, la stagione 1993/94. Lui proveniva dal Genoa ed io dall’Atalanta.
Lui aveva i capelli lunghi. Lo avevo incontrato nella partita Atalanta-Genoa che disputammo a Bologna e nella quale, tra l’altro, lui realizzò anche un goal. Anch’io avevo i capelli lunghi e quando passai alla Juventus, dove Boniperti teneva molto anche all’immagine dell’atleta e alla sua buona presenza e vedeva con fastidio il capello lungo, li tagliai. Ci trovammo il primo giorno di ritiro e l’unico ad aver i capelli lunghi era Andrea. A quel punto gli dissi: “A te non ti hanno detto di tagliarti i capelli?” Ricordo che mi rispose: “A me non interessa, mi devono accettare per quello che sono come calciatore indipendentemente dal capello”. Queste parole con lui mi fecero capire che avevo di fronte un calciatore che non solo era bravo, ma che aveva personalità e che l’aveva lo dimostrò in quello scorcio troppo troppo breve nella Juventus».

D. Ritiene che Fortunato fosse un calciatore che poteva conseguire una carriera brillante?
R. «Sicuro, sicuro, sicuro! Dimostrò in quel pochissimo tempo di avere i mezzi per poter, secondo me, entrare a far parte, in modo “prepotente”, della storia del calcio italiano».

D. Quali erano le sue qualità tecniche? Possedeva delle caratteristiche particolari?
R. «Era un terzino fluidificante, ma era anche terzino di spinta; ricordiamoci che l’Italia ne ha avuti di terzini forti: Cabrini, Maldini… Andrea aveva tutti i mezzi, ripeto, per entrare nella storia del calcio italiano. Tra le sue caratteristiche particolari, a parte un bel piede mancino che poteva fare quello che voleva, era bravissimo nei cross e possedeva una facilità di spinta sulla fascia. Era bravissimo anche in dribbling, in corsa e possedeva perfino una grande capacità di inserimento molto più forte dal punto di vista offensivo e dal punto difensivo in quei primi anni. Fu un terzino con grande piede e con grande capacità di corsa.
Fuori dal campo era un ragazzo solare, tranquillissimo e con la sua fidanzata. Ogni tanto uscivamo assieme e anch’io ero fidanzato. Andrea era un ragazzo tranquillo, tranquillo. Entrambi avevamo più di 20 anni ci godevamo il bel momento calcistico; ma al di fuori del calcio vivevamo come tutti i ragazzi, la discoteca, la fidanzata…».

D. Come visse il momento della sua malattia e del suo decesso?
R. «Sono ricordi che rimangono indelebili. Prima di tutto mi ricordo che avevamo effettuato gli esami del sangue qualche settimana prima. Lui era da qualche giorno che non stava bene, si sentiva stanco ed era un po’ febbricitante. Allora il dottore gli fece fare di nuovo degli esami e degli accertamenti e purtroppo da questi venne fuori la scoperta della leucemia. Da lì Andrea iniziò il suo percorso, si sottopose a più cure e al trapianto. Provò veramente tantissime strade, avendo anche una famiglia fortissima che gli fu sempre vicino. Mi ricordo che io, Fabrizio Ravanelli, Gianluca Vialli, Angelo Peruzzi, eravamo in quattro – cinque, andammo a trovarlo a Perugia, essendo ricoverato là. Mi sembrava che stesse meglio. Poi mi ricordo l’ultimo giorno che lo vidi, era il 26 febbraio 1995: Noi giocavamo a Genova contro la Sampdoria e poi dovevamo partire per Manchester, dove si doveva giocare la partita di ritorno per la Champions League. Era una sera abbastanza fredda e ventosa, lui volle venire lo stesso a vedere la partita. Al termine venne anche in albergo con noi e fu bellissimo stare con lui. Fu l’ultima volta perché poi si aggravò…».

D. Come reagì la squadra?
R. «Quando viene a mancare un ragazzo così pieno di vita, pieno di energia, un’atleta vero, ti colpisce molto perché ce l’hai vicino. Ti rendi conto che purtroppo questo tipo di malattia non guarda in faccia a nessuno, quindi è logico che ci fu tanta tanta tristezza e tanta rabbia perché non si riesce a spiegare come la vita ti metta di fronte a situazioni che fai fatica ad accettare».

D. La memoria di Fortunato cosa potrebbe offrire ad un calciatore e ad un allenatore di oggi?
R. «Che bisogna ritornare all’umiltà e ritornare a quei valori che mi sembra si siano un pochettino persi. Cerchiamo di essere meno egoisti perché la vita, non sai mai quello che ti può offrire. Cerchiamo di goderci il proprio percorso e però guardare anche agli altri…».