SOGNI | Franco Corsetti

In un mondo frenetico come quello di oggi, lo stesso dormire si è adeguato al ritmo generale.

Una volta era diverso, e uso questo termine perché credo mi appartenga, ormai: ho quasi smesso di contare le primavere e tutto ciò che mi circonda lo paragono al passato, e non so se essere felice o meno.

Lontanissimi i tempi in cui, fanciullo, dormivo beatamente accompagnato dalla ninna nanna della mamma, e dalle favole della nonna.

Allora, i sogni erano chiari, freschi, chiacchierini come l’acqua di un torrente in primavera; e volavano in cielo, colorati, sbarazzini e sinuosi come la coda degli aquiloni, che costruivamo con le nostre mani. In una sola parola: erano promettenti.

Era una vita più lenta e serena, che non conosceva niente di più di ciò che ti circondava e desiderava poco di più di quello che aveva.

Una vita di paese, l’ultima delle generazioni dei contadini: dopo di noi, le TV, la macchina, l’aereo. Ecco perché io mi riscaldo dentro con quei ricordi, e la nostalgia si tuffa nella malinconia.

Quando si contano gli anni a decine, anche i fiori che hanno colori vivaci e sgargianti che all’inizio ti facevano dilatare gli occhi dallo stupore, ora ti appaiono sbiaditi e indistinti.

Tutto sembrava colorato, e questo crea un grosso contrasto con il grigiore che oggi ci circonda. Dovrei dire: quanto grigiore mi circonda, ma io non faccio testo perché è da tempo che ho lasciato scorrere il mondo fuori dalla mia finestra; controllo solo i cambiamenti del tempo, e non trovo che scarso ottimismo per una giornata di sole con temperatura alta.

Ieri, mi sono sorpreso a ricordare che d’estate non indossavo nemmeno la fruit sotto la camicia, né i calzettoni con i mocassini.

Ora, la prima è quasi obbligatoria, e questo quasi è relativo al fatto che se fossi al mare, a metà luglio, allora sì che potrei mostrare qualcosa di chiaro: il mio detto nudo a tutta la spiaggia!

I secondi, li calzo normalmente, e saltuariamente in casa, anche se gli uccellini sguazzerebbero felici nella ciotola d’acqua lasciata nell’orto se Marta, la gatta, non avesse lasciato dietro di sé un certo numero di penne.

Quel grigiore di prima non è solo fuori, purtroppo. Come nel più classico dei modi di dire -nebbia fitta in Valpadana- anche dentro di me scende, a banchi, un velo di leggera amarezza per un mondo che non riconosco più.

Sarà soprattutto perché le gambe non girano come una volta e, di seguito, la testa ha bisogno di maggiori pause, ma resta il fatto indiscutibile che i sogni di ieri erano coinvolgenti, appassionanti, ingenuamente gioiosi, tanto che la mattina duravi fatica a svegliarti.

Lo facevi, poi, piacevolmente perché la giornata che ti aspettava assomigliava a ciò che ti trasmetteva l’odore del caffè col latte -carissima memoria- insieme alla fetta di pane appoggiata sugli elementi caldi della stufa: emanavano un profumo così invitante che non vedevi l’ora di sgranocchiarla sotto i denti, e che piacere inzupparla in quel latte che aveva uno strato di schiuma dolce come la panna!

Oggi, cosa ti sveglia così affettuosamente? Oggi, ti sveglia un suono metallico, e già capisci che sarà una giornata non facile. Spegni la suoneria quasi con rabbia, e non perché sognavi: perché cercavi di riposare un po’ di più, già ancora stanco morto del giorno passato.

In più, ora ti devi alzare lentamente perché se lo fai in velocità perderai l’equilibrio; lo sai, ma a volte lo dimentichi.

Cosa sognavi? Mah, il ricordo è fuggito via; magari, qualcosa di importante; qualcosa che ti potesse accompagnare almeno per poche ore. Niente, non hai il tempo per ricostruire.

Infatti, ora i sogni sono lenti, spezzettati, silenziosi come c’impone il caldo estivo. Ti giri e rigiri per svegliar ti più affaticato di prima, e quanto più cresce la fiacca tanto più scema l’entusiasmo.

Le abluzioni. Ieri l’altro, una saponetta, una catinella e non mancava mai una foglia di salvia, anche se i denti -poi- ti presenteranno il conto. Oggi, hai il mobiletto del bagno pieno di tutto: dentifricio, spazzolino a più velocità come il cambio di un’auto, filo interdentale, collutorio e altre diavolerie. Minuti importanti, certamente, ma che confermano che la primavera e l’estate sono passate, ed è già autunno.

Non manca un po’ di vanità, anche maschile, con uno spruzzo di colonia e, per finire, uno sguardo nello specchio e provi a rispondere ad una semplice domanda: ma quello, sono proprio io? Se ne vanno così, definitivamente, le poche immagini belle che hai sognato: impossibile recuperarle.

Infine, l’ultimo esame, quello definitivo, ineludibile e inequivocabile: mettere i pedalini, o calaini o calzettoni. Ed ecco che l’autunno di prima è il preludio dell’inverno. Infatti, Der calzare quelli ti devi almeno appoggiare, se non sede re. E’ in questo momento che ti ricordi di quando facevi i movimenti necessari e riuscivi, anche saltellando, ad infilarteli in piedi, su una gamba sola! 

Non erano sogni. Era la gioventù, ovviamente; era la continuazione di un bel sonno ristoratore, che ti preparava ad affrontare in giornata con una certa speranza, una fiducia nel domani che ora non vedo più all’orizzonte.

Si dorme male. Si riposa di meno. Si sogna peggio. Mi dicono che ci sono umani che lasciano acceso il telefonino, o i suoi fratellastri, anche di notte; e che forse sognano che lui/loro possano risolvere magicamente tutte le difficoltà del giorno dopo.

Non è per me. Sono nato ieri l’altro e, ad un certo momento, ho detto basta. Basta a questa tecnologia invadente. Rasta a questi rumori assordanti. Basta a questo martellare continuo ed asfissiante che ci ricorda la nefasta propaganda d’altri tempi. Pochi, quasi nessuno, si chiedono cosa c’è dietro queste valanghe di messaggi, che ti scovano anche se vuoi nasconderti; che ti promettono mari e monti; che sono occasioni imperdibili, a soli pochi euri al mese, ma che poi ci sarà un ritocchino, e li dovrai pagare.

Vedo un mondo in declino. Ma cosa sognano questi milioni, miliardi di esseri umani? Una vita fatta di mode, di esteriorità, di superficialità, di menefreghismo; e di eventi: questi sì che contano, altro che sognare la notte.

Quindi, ecco i modelli da imitare, e facciamola finita con le regole, i doveri, il rispetto, il sacrificio. E’, indubbiamente, un mondo nuovo, assai diverso dal mio. Che cosa dire? Se sono felici così, se questi sono i loro sogni, buon per loro. Non sarò certo io a dare regole di vita all’uomo del secondo millennio.

Ormai ho perso la coincidenza. Forse, mi sono svegliato tardi. Forse, la suoneria non ha funzionato (ma ho cambiato le pile?). Sicuramente, non ho più l’età per questo mondo proiettato verso l’infinito.

Ricordo la canzoncina della Gigliola Cinguetti, e mi sembra -oggi- rovesciata: sono io, ora, che non ho più l’età per uscire la sera. Tra poco, chissà, magari non uscirò nemmeno il pomeriggio, così, per confondere le statistiche che ci dicono, da decenni, che gli italiani mangiano mezzo pollo a testa, mentre tutti noi sappiamo che quel pollo se lo pappano -intero- i soliti noti, sempre troppi.

Inutile fare paragoni; però, molti più bravi di noi continuano a giudicare il passato con la mente di oggi. Non possono avere ragione. Sbagliano perché credono in una realtà distante anni luce da questa epoca, e si rifiutano di accettarne le differenze.

E’ il classico distacco tra la teoria e il vivere del cittadino comune. Ma questi, cosa sognano? Macchine ibride, treni velocissimi, intelligenza robotica. Mai, proprio mai, la vita quotidiana; mai, prepararsi, in fretta e furia, la colazione del mattino; mai cercare di capire i bisogni, le necessità, le aspirazioni di un mondo che è fuori dalla loro casa intelligentissima.

Se però si perde il contatto con la terra, è certo che si perde il contatto con la realtà. Nessuno di loro si preoccupa di ciò che giornalmente mangiano: e se i contadini facessero sciopero, prenderebbero loro vanga e zappa? Mica male, l’idea!

E’ così che tutte le utopie moderne si dovrebbero fermare, e poi riflettere. Ma questa mia è un’assurdità. Parlo come un vecchio bacucco, anche se non mi sento così. Quando si pensa troppo spesso al passato, saltano fuori differenze incolmabili tra ieri ed oggi, nel bene e nel male. Ma è passato, e non tornano più.

Allora, un bacio sulla fronte della mamma, o del babbo mentre già dormivi, era come essere sfiorati dalle ali di una farfalla, colorate, come le dipingevano i “primitivi”.

Subito dopo, che sognavamo? Una realtà semplice, fatta di rapporti umani solidi e duraturi; di un mondo comprensibile e avvicinabile; di una vita all’aria aperta, e di scadenze dettate dal suono di una lontana campana.

Un mondo che non c’è più, oggi, e che i contemporanei non hanno conosciuto, e non possono né vogliono capirlo. E’ per questo che mi chiudo sempre più; non perché non accetto quello presente ma perché io ho vissuto un passato che mi ha lasciato millanta memorie: i ragazzi di oggi, alla mia età, saranno ricchi di quelle come lo sono io?

Glielo auguro, anche perché la vita va avanti, mai si è fermata, e la gioventù è una primavera da sfogliare come facevamo con i petali delle margherite: m’ama, non m’ama, ingenua mente.

Solo allora, come me oggi, capiranno che i sogni non svaniscono all’alba; solo, anche loro vanno a dormire perché possano accompagnarti per sempre.