LEGGERE STEINBECK con la fidanzata poliziotta 2^ e ultima pt | Fabrizio Mari

Nonna era dannatamente ottimista.

Si fidava talmente tanto del genere umano che la sera quando andava a letto non chiudeva nemmeno la porta giù in cucina.

Lasciava dentro una cesta sopra una seggiola il suo amatissimo gatto Pluto, nero che pareva il figlio del diavolo, e gli dava la buonanotte, come se fosse un cristiano, credendo che facesse la guardia. Nonna era ottimista, mi pare che ve l’abbia già detto.

Non per nulla nonna era Cancro con ascendente Bilancia come me. E non per nulla era, per tutti quelli del vicinato, la nonna dei Mari. Tutti la conoscevano. Era una sagoma la vecchia.

A me stava simpatico l’ottimo Pluto. Il fatto però è che non ha mai fatto la guardia a nonna. Nemmeno una sola notte. Appena lei saliva le scale aggrappandosi al corrimano, Pluto si metteva per lungo nella cesta e dormiva fino alla mattina seguente. Lo so perché mia sorella lo ha visto mille volte fare così. Ai poliziotti non sfugge nulla. Specie poi a mia sorella. È pur sempre una Mari. Furba come una faina.

Lei ha un sesto senso che non sappiamo da chi abbia preso.

Non certo da me, che mi scordo a volte anche come mi chiamo, abituato come sono a sentirmi chiamare sempre per cognome e quasi mai per nome. Anzi, quando mi chiamano per nome ho come l’impressione che ci siano sempre dei problemi all’orizzonte. Chiamatemi per cognome quando mi vedete e volete salutarmi.

Lasciate da parte il nome ed usatelo solo nelle commemorazioni che vorrete fare dall’ambone quando sarò morto.

Io, da nonna ho ereditato solo il disincanto ed il cinismo. Ma non i suoi splendidi occhi blu come il mare giù a Follonica.

Quando le dissi che una mia amica aveva perso il proprio figlio, nonna tutta seria si propose di andarlo a cercare nei boschi vicino casa con le sue amiche ed il prete con i quali giocava ogni giovedì sera di soldi a pinnacola giù al bar del paese.

Non capì, o finse di non capire, che quel figliolo era morto. Non glielo ho mai spiegata la situazione per bene a nonna, ma forse va bene così.

Nonna viveva nel suo mondo, un poco come me. Anche se a volte io lo faccio apposta. Ecco perché continuo a scrivere di lei. Perché nonna mi manca tremendamente. È la verità.

È stato comunque grazie a lei che ho trovato la fidanzata. Una collega di mia sorella. Una poliziotta. Auguri. Quasi come trovare un fungo in mezzo a milioni di foglie secche.

Come da migliore tradizione dei Mari, nonna ci mise un bel po’ a capire che quella timidissima ragazza a nome Perla faceva la poliziotta. Lo avesse saputo, di sicuro non me l’avrebbe presentata. So come è andata la storia, perché nonna quel giorno mi raccontò tutto.

Lei come al solito era al bar con le sue amiche a bere del dannato ginseng quando Perla si avvicinò al loro tavolo chiedendo se la panda rossa parcheggiata in tralice sulle strisce pedonali fosse di qualcuno di loro. Perla non si presentò come poliziotta e non era in servizio.

Come in seguito mi disse nonna, le sembrava una perfetta scappata di casa.

Perla indossava dei jeans tutti macchiati non si sa se d’unto, di mota o di erba e una maglietta bianca ingiallita dalla varechina, che si gonfiava enormemente proprio lì, all’altezza dei seni. Che erano piuttosto importanti, quasi come se avesse appena finito di allattare un paio di figlioli.

Ovviamente, la panda rossa, che ora guido io, era di nonna.

Lei cercò di scusarsi malamente con Perla, pensando di andare a spostare la panda rossa, ma Perla disse che non importava. Mentì. Già mentiva e non mi aveva né mai fermato né mai visto. La ragazza giusta per Mari, a parte il fatto che era poliziotta.

Quel giorno Perla non aveva niente da fare, rimase prima a guardare nonna che teneva strette le carte tra le dita rinsecchite e poi si mise a sedere accanto a quel tavolo. Intendiamoci, Perla conosce le carte da gioco come io le regole del pallone. In questo ci siamo proprio trovati. Nonna, che non riesce a stare zitta nemmeno quando è in chiesa con le sue amiche di pinnacola, pensò bene di offrirle un caffè e subito dopo fece il mio nome, non so perché. Non ho mai capito la voglia di nonna di piazzarmi. Accidenti, non che sia un fulmine con le ragazze, anzi qualcuna mi ha pure lanciato addosso un preziosissimo posacenere in cristallo che io ho schivato, non so grazie a quale santo, con estrema destrezza e ne sono uscito dannatamente fiero. L’indomani però ero di nuovo single, come dicono gli inglesi.

Avevo all’epoca una fidanzata veneta che studiava psichiatria. Era piuttosto bella, accidenti se era bella. Ma eravamo lontani. E poi non è che mi allettasse l’idea di convivere con una psichiatra. L’avrei fatta andare fuori di testa in un paio di giornate. Cristo santo che salto che ho fatto ora che ci ripenso! Dalla psichiatria alla polizia di Stato!

Le cose tra la veneta, Cristiana, ed io non stavano andando per nulla bene. Troppo bella ed intelligente lei ed io che stavo navigando in un mare di differenti guai.

Fatto sta che nonna mi chiama sul cellulare e mi dice di correre subito al bar urgentemente. Io pensai subito a qualche malore capitatole e potete immaginare la mia sorpresa quando vidi nonna accanto ad una ragazza abbastanza bella, vestita un poco così alla buona.

Lì per lì pensai che non fosse nemmeno italiana. Nonna ci presentò ed io balbettai il mio cognome, senza nemmeno dirle il nome.

Forse avevo già intuito che poteva essere una di quelle delle forze dell’ordine.

Loro chiamano sempre per cognome, in effetti. Come a scuola, quando ti chiama la professoressa di matematica proprio quando non hai studiato.

Insomma, quel giorno al bar, nonna tenne banco; disse a Perla che aveva un nipote, che poi ero io, bravo ma un po’ stordito, che sapeva scrivere e leggere ma non fare i conti.

Perla, poi, nei giorni seguenti, mi ha raccontato altri particolari che qui non descrivo per carità di patria.

In quei giorni leggevo Al Dio sconosciuto del vecchio Steinbeck. Ero quasi arrivato alla fine ed avevo gli occhi lucidi ed il cervello in ebollizione. Lo leggevo ovunque. Anche in palestra. Quando mi chiamò nonna dal bar stavo appunto uscendo dalla palestra con quel libro in mano.

Perla in quei giorni teneva in borsa, vedi le coincidenze astrali, La perla, sempre di Steinbeck. Anche lei era quasi alla fine. Finimmo così per parlare di Steinbeck ed in genere della letteratura americana. Ed io che avevo tremendamente sete. Nonna mi vide che stavo nervoso e mi fece portare un bicchiere di acqua frizzante col limone. Dopo poco mi ripresi e non staccavo i miei quattro occhi da quella ragazza, che mi parve buffa e per me assai bella.

Nonna volle intromettersi pure lì dicendo che decenni fa aveva letto Furore e visto il film non appena arrivò nelle sale del paese.

Quel giorno finì purtroppo presto. Il vento che soffiava da settentrione ci mise tutti di buon umore.

Perla ed io continuiamo a leggere Steinbeck quando siamo fianco a fianco.

Steinbeck va letto insieme con la persona che ami o che vorresti amare, perché Steinbeck parla di te, di chi hai accanto, di chi ami, di chi odi, di chi ti cerca o di chi hai perduto.