È stato tutto dannatamente bello, credetemi | Fabrizio Mari, tra finzione e realtà

Strappò dal calendario appeso a fianco del Crocifisso il foglio del mese di febbraio e lo gettò per terra.

Non contento, ci sputò sopra e lo calpestò con rabbia, aggiungendo una serie di bestemmie.

Poi si mise a sedere. Aprì un’altra bottiglia. L’ennesima. Era già la terza. Aveva cominciato a bere dalle cinque di mattina.

Cercò di pensare. In fin dei conti era l’unica cosa che sapeva fare. Avrebbe dovuto piangere e disperarsi per la imminente scomparsa di sua moglie, ma non ebbe il coraggio di far scendere le lacrime. In fondo al suo cuore avrebbe voluto perfino sorridere messo di fronte a quella mancanza.

I medici le avevano dato al massimo altri tre giorni. Poi lui sarebbe rimasto solo.

Chi gli avrebbe fatto il caffè la mattina? Chi avrebbe baciato lei prima di chiudere gli occhi la notte? Cercò di farsi coraggio. Mancava poco. Era già vestito. Jeans, felpa rossa ed occhiali da sole. La felpa rossa era il regalo di sua moglie. L’ultimo che gli avrebbe fatto.

Pensava di fare una cosa matta. Roba che ne avrebbero parlato i quotidiani locali per giorni. Poi tutto sarebbe rientrato; la gente chiacchiera per qualche giorno, poi anche la cosa più incredibile viene classificata come un episodio del tutto normale, quasi banale.

Il suo stomaco era gonfio di anidride carbonica. Le bottiglie di spuma al cedro che stava bevendo dalle cinque di mattina lo avevano reso quasi euforico. Aveva dentro di sé, oltre al sapore chimico del cedro, una felicità enorme che cercò di rendere familiare. Aveva voglia di bere quella dannata spuma al cedro ancora di più. Impazziva quando la beveva. Ovvio che lo faceva apposta. La beveva per poter dire di esserci e per poter scrivere qualsiasi cosa gli passasse per la mente. Poi, una volta che gli era passata la voglia, si buttava sul divano e dava libero sfogo alla mente.

Poteva ascoltare e leggere qualsiasi cosa. Passava dall’ascolto delle Variazioni Goldberg eseguite da quel matto geniale di Glenn Gould alla lettura in una notte di Furore dell’immenso John Steinbeck. E continuava a bere. Sempre quella dannata spuma al cedro. E via via faceva l’occhiolino, non sapeva bene a chi, ma lo faceva, così, tanto per fare. Sapeva benissimo che era una sorta di codice, una specie di alfabeto noto soltanto a chi lo conosceva bene. Ci sono persone che sanno tutto, si diceva tra sé e sé ed era vero. C’è chi sapeva tutto.

La moglie, ad esempio, lo conosceva bene. Lei, che era rimasta bella anche quando sapeva di morire. Non aveva fatto nulla di male, poveretta. Un cancro l’afferrò un giorno e lei ora stava lì nel loro letto a contare i giorni che le rimanevano. Non c’erano altre parole. Ogni tanto passava a darle iniezioni di morfina sua sorella, una suora francescana missionaria di stanza in Angola, il gatto Amleto e pochi altri vicini, che uscivano da quella casa quasi sempre a ciglio asciutto.

Ed una notte che fuori c’era una luce che ci si poteva guardare negli occhi senza strizzarli, il marito con il cuore in gola cercò di farsi coraggio. Lei dormiva e non si svegliò. La sorella suora le aveva iniettato una meravigliosa dose di morfina poche ore prima. La moglie chiamava la morfina la sua sorella maggiore perché c’era sempre quando aveva bisogno di coccole. Non credeva di innamorarsi di un prodotto nato chi sa dove e toccato da chi sa chi da una stupida pianta di papavero da oppio.

Era tutto il giorno che lui pensava a cosa avrebbe fatto insieme con lei quella notte.

Alzò a tutto volume il cd delle Variazioni Goldberg e spalancò le finestre. Quasi come se il vecchio Bach e quella luna meravigliosamente luminosa dovessero partecipare a quel loro momento di splendida intimità. Lei si svegliò un poco intontita. Lui ora aveva in mano un bicchiere colmo di spuma al cedro. Anche la spuma al cedro doveva essere testimone.

Che fai? Mi gira la testa…ma sto bene…cosa fai con quel bicchiere?
Buona sera…bevo un poco di spuma al cedro…
Oh mamma, ma te sei fissato con quello schifo lì…ascolta…
Dimmi…
Voglio uscire…vestimi e portami via…
Volentieri. Fuori c’è una luna pazzesca, come dicono quelli che fanno i commenti sui siti social…
Anche se sto per morire te non cambi mai. Scemo ti ho conosciuto e scemo ti lascio…
Ed io bella ti ho conosciuto e bella ti lascio.

L’auto correva piano immersa in quel chiarore clamoroso. Lei era felice. La morfina stava smettendo il suo effetto. Lui fece passare un signore che attraversava la strada con un grazioso barboncino al guinzaglio. Riprese velocità, moderatamente, fino alla curva che lui conosceva bene. L’auto prese a scattare in avanti. Il paesaggio, annegato in tutta quella luce lunare, ora sfrecciava velocissimo. Pareva che inghiottisse le auto che arrivavano nell’altro senso.

Per una frazione di secondo lui ebbe paura. Lei lo guardò per un istante.

Chiusero gli occhi nel medesimo momento.

Nessuno poté far nulla dopo aver sentito quello schianto violentissimo contro un grosso platano; le urla di terrore di chi si trovò lì per caso, e poi le sirene dapprima in lontananza, poi, sempre più vicine fino a lambire quella scena che i giornali locali descrissero per qualche giorno come infernale.

Rimaneva lassù, immersa in quel chiarore che pareva allucinato, la luna, la solitaria luna.