di Amleto Spicciani
Ogni campana, prima di essere collocata nel campanile, un tempo doveva essere benedetta e poi consacrata con il crisma dal vescovo, durante un’azione liturgica solenne. In quella occasione il vescovo pronunciava delle bellissime orazioni affinché per virtù dello Spirito Santo il suono della campana non solo convocasse il popolo dei fedeli ma anche tenesse lontane le forze maligne, il fragore della grandine, i danni dei turbini e l’impeto delle tempeste. Con tale atto consacratorio, la campana era dedicata a Dio e in genere al santo titolare della chiesa a cui quella campana era destinata.
Riflettevo su questa antica e solenne liturgia (oggi ridotta ad una semplice benedizione) mentre avevo davanti agli occhi le fotografie delle campane della chiesa parrocchiale di Malocchio, che io reggo da più di cinquant’anni, e consideravo la loro bellezza estetica, che quasi nessuno ha mai visto, ma che esprime il senso della loro funzione. Per secoli quelle campane hanno convocato i fedeli, hanno scongiurato i temporali, hanno annunciato il digiuno, l’agonia e la morte degli uomini e delle donne, espresso i momenti della loro gioia e quelli della tristezza.
Oggi molti non intendono più la voce delle campane e anche la domenica il loro suono è spesso frainteso, tanto che in alcuni luoghi è addirittura tristemente trasformato in una baldanzosa canzone. Noi a Malocchio abbiamo conservato con fedele tenacia l’annuncio di ogni morte, secondo l’antichissimo uso del suono della campana a distesa, distinguendo tra uomini e donne. La morte di un uomo è annunciata dal suono a distesa della campana grande, poi, dopo un breve silenzio, da quella piccola, e infine ancora, dopo un breve silenzio, dalla grande. Per una donna quella piccola, quella grande, e poi quella piccola.
Oltre al campanello usuale, nel campanile della chiesa di San Frediano ci sono due campane di media grandezza, con un bel suono che si diffonde nei boschi circostanti, anche in quelli più lontani, poiché la parrocchia è formata da abitazioni sparse in un vasto territorio. Non sappiamo nulla sulla edificazione del campanile né come fossero le antiche campane.
Senza una specifica competenza, ne vorrei tuttavia tracciare una pur breve descrizione. D’altra parte nessuno – che io sappia – si è mai interessato allo studio storico o ad una catalogazione delle campane delle chiese della diocesi di Pescia, come in altri luoghi è stato fatto, e anche – ad esempio – da Guglielmo Lera per alcune campane della Lucchesia. Cosicché per la diocesi di Pescia, il bel volume di Renzo Giorgetti, Campane e fonditori in Toscana (2005), conosce soltanto la documentazione (fin dal 1496) della campana grande della chiesa di San Michele di Montevettolini.
Tornando al discorso sulle campane in oggetto, posso cominciare osservando che nel 1575 la chiesa di San Frediano era priva della campana, ma, come dissero gli abitanti, qualche volta lo stesso nella chiesa veniva celebrata la messa. Forse sforzo le parole che dissero («quamvis quandoque», sebbene talora), ma a me pare bello intendere che a quella gente non appariva normale che si celebrasse la messa senza che il popolo non fosse stato convocato dal suono di una campana.
Comunque, San Frediano ebbe poi le sue campane, poiché le attuali, della metà del XIX secolo, si ottennero con la fusione di quelle più vecchie. Come attestano le iscrizioni, la campana più grande (h.60 cm – d.57 cm.) fu rifusa nel 1842 e quella più piccola (h.54 cm.- d.50 cm.) nel 1857; la prima al tempo del rettore Sebastiano Moretti (1836-1846) e l’altra quando era rettore Giovanni Guiducci (1856-1874). (L’altezza delle campane include anche il maniglione). Il campanello (h.20 cm. – d.16 cm.) è privo di fregi e di iscrizioni, al contrario delle campane.
Sulla campana grande si legge una iscrizione in lingua latina che così traduco (è la campana che parla): «A Dio ottimo massimo e a san Michele arcangelo, che è titolare della chiesa di Malocchio, con il concorso in parte del popolo e l’aiuto del rettore Moretti, per un migliore suono e una maggiore stabilità nell’anno del Signore 1842 mi rifusero Terzo Rafanelli e figli, fonditori in Pistoia». La campana più piccola ha questa iscrizione in italiano: «Rifusa a tempo de l rettore Guid (ucci). AD. MDCCCLVII. Luca Angeli e figlio fusero». I Rafanelli pistoiesi come fonditori sono poco studiati ma molto noti, specialmente il celebre Terzo di cui nel prezioso libro citato del Giorgetti si trova una interessante e abbondante documentazione archivistica, esistente un po’ dappertutto nella Toscana. Nulla sappiamo invece del fonditore Angeli di San Quirico di Valeriana, il cui nome non compare nel Giorgetti, che invece conosce alcuni esempi archivistici del Benigni e del Magni, anch’essi fonditori di San Quirico.
Tutte e due le campane di Malocchio, naturalmente in modo diverso, sono decorate in rilievo con immagini di santi e con motivi e festoni di foglie e frutti. Le iscrizioni sono anch’esse in rilievo con caratteri capitali. L’apparato iconografico, di cui subito dico, nel suo complesso parrebbe fare riferimento non tanto al titolare della chiesa o della parrocchia di Malocchio, o neanche alle devozioni locali, quanto piuttosto sembra riferirsi alla campana stessa o alla devozione del fonditore. A questo proposito, bisognerebbe fare una comparazione con tutte le campane in essere, provenienti dai nostri fonditori, cosa che evidentemente non sono in grado di fare, anche perché non ho notizia che esista per ogni fonditore una completa inventariazione. Comunque, sulla campana grande, in rilievo, compaiono san Filippo Neri in gloria, santa Barbara, san Michele arcangelo che trafigge il demonio, Gesù in piedi che porta la croce sulla spalla destra.
Sulla campana piccola, sempre in rilievo, san Paolino da Nola (protettore dei campanari), sotto di lui una grossa medaglia con l’immagine di Maria SS.ma di profilo e intorno la scritta “Refugium peccatorum ora pro nobis”, l’Assunta, Cristo risorto con la croce adorato da due angeli, sant’Antonio da Padova.
Lo stesso discorso comparatistico andrebbe fatto anche per le iscrizioni delle due campane di San Frediano, che pure meritano qualche parola di commento. Nella campana piccola, rifusa da Luca Angeli a San Quirico di Valleriana, la scritta in italiano sembra contenere delle imperfezioni: «A tempo» mancante della elle (al) e «de l rettore» con la elle staccata (del). A cui segue l’indicazione in latino e corretta dell’anno (fonditore analfabeta?). Su questa campana non compare il simbolo della lucertola, che sappiamo essere l’emblema dei fonditori di San Quirico.
Più interessante, e forse tipica della fonderia pistoiese, la iscrizione composta dal Rafanelli, di cui ho già dato la traduzione in italiano. In questa iscrizione, che è circolare, indicano l’inizio le dita di un piccolo braccio. Di essa è da considerare la dedica a san Michele arcangelo presentato come titolare della chiesa di Malocchio («Divoque Michaeli arcangelo, titulari ecclesiae Malocchii»): in realtà l’arcangelo è patrono della parrocchia (l’immagine compare sulla campana) mentre san Frediano (non rappresentato) è titolare della chiesa che ospita la parrocchia.
Sembra dunque che nel 1842, quando la campane fu rifusa, si fosse dimenticata questa importante distinzione, mentre non si dimenticò di dire che il lavoro fu fatto con il concorso in parte del popolo e con l’aiuto del rettore. Ma più curiosa è l’indicazione dei motivi della rifusione, che fu fatta «ad meliorem concentum ac firmitatem» cioè, mi pare di intendere, allo scopo di migliorare il suono o l’accordo con l’altra campana (di cui oggi non abbiamo notizia) e per la sicurezza e stabilità dell’impianto, che probabilmente aveva ceduto. Oggi mi dice un amico musicista, tra le due campane non c’è un accodo, ma piuttosto c’è un “intervallo di seconda maggiore”, poiché la campana grande (1842, Rafanelli) è in Mi, mentre la piccola, rifusa posteriomente (1857, Angeli) è in Fa diesis.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.