Un pino solitario | Franco Corsetti

Un pino solitario: che sarà mai un albero, un po’ solo, nella vegetazione? Poco più che nulla negli orizzonti che si presentano agli occhi tutti i giorni.

A meno che… . A meno che non diventi, poco a poco, un elemento importante del vivere quotidiano, uno dei tanti che hanno contraddistinto il nostro percorso, e verso i quali rare volte avevamo fermato la nostra attenzione.

Questo pino è presente, nel mio sguardo, da sempre; da quando i miei genitori costruirono questa casa, da loro, ed io ne seguii il cammino. Agli inizi, niente di particolare se non quell’impedimento al dilatarsi delle pupille -classico- davanti all’orizzonte del mare, o sulla vetta di una montagna. No. Qui, un costone -o una costola- della propaggine delle Pizzorne, in località chiamata “Le Rocchette”, fa da barriera impedendo di vedere San Gennaro e poi, almeno almeno con la fantasia, la Piana di Lucca.

Ero piccolino quando, con i miei coetanei, scorrazzavamo su questo lato decrescente verso la Pescia Minore, ed era un territorio pulito. I castagni la facevano da padroni, e noi ci muovevamo con agilità e tranquillità nelle piccole radure tra le piante, dove costruivamo i nostri capannucci.

Poi, l’abbandonammo, e non solo noi, tanto che gli acaci, pianta infestante, ne prese possesso, ed oggi è il re di questo territorio, ormai rimasto nei sogni della mia fanciullezza.

Mi resi conto solo più tardi, anni, che, proprio sul crinale, di fronte al mio studiolo, una pianta si distingueva dalle altre: era un pino, alpestre, solitario.

Ma allora, eccetto che considerarlo una curiosità, non m’ispirava niente. Crescevo, e gl’impegni si moltiplicavano. Agli inizi, c’era un coinvolgimento generale: occhi, testa, cuore; obiettivi, speranze. Era la strada che si presentava un po’ a tutti, tanto che non mancava la concretezza, l’idea di farcela nel raggiungere qualche meta.

Le Rocchette s’imboschirono, così come l’età della gioventù declinò lasciandoci uomini che camminavano abbastanza sicuri sulla via scelta.

Il tempo, però, non si fermava, e già nasceva dentro il desiderio di riflettere, di rivedere e cercare di ripensare ai luoghi ed ai sentimenti che  si erano accumulati in alto, nella piccola soffitta.

Lo sguardo, ora, era meno rapido, più lento e più tranquillo, e si catturavano scorci ed episodi che, anche se l’età non era più brillante, erano sufficienti a far riapparire brani importanti del passato. 

Ma ancora non era il tempo giusto. Il quotidiano ti coinvolgeva anche se, inconsciamente, sentivi che si avvicinava un nuovo periodo, in parte da scoprire, e non sempre ben accetto. 

Diciamolo: un po’ di paura faceva capolino perché, fino ad ieri, il futuro sembrava roseo e pieno zeppo di promesse. Così dicevano. 

Infine, simbolicamente, scendi. Una stazione qualsiasi perché non ha quasi più importanza la località. Tutto è un po’ confuso, evanescente, con un pizzico di rassegnazione. E’ l’autunno della vita, con i suoi colori caldi, un lontano tempore estivo, un rinnovare l’armadio. Dicono. 

Così, qui, alla finestra, di fronte a me, ho riscoperto quel pino, anche lui un po’ vecchio pur se ancora in “gamba”, che mi rammenta tempi passati.

Ho riscoperto, dunque, vecchi libri, anche antichi, e nel silenzio, risvegliando l’appisolata sensibilità, ho ripreso a leggere le opere del Leopardi. A prima vista sembrerebbe che lo spunto del mio scritto fosse quello del canto-idillio “Il passero solitario”, ma non è così, e non può essere, data la mia modesta capacità poetica.

Il titolo c’è, è vero, ma il poeta parla di un uccellino, solitario, lontano da tutto e da tutti, paragonando la sua vita a quella degli uomini, del Leopardi stesso.  Così, passa la giovinezza, e quando lo capisci, se n’è già andata.

No, io ho riscoperto il pino perché diverso dalle altre piante, immobile presenza che dà sicurezza, fiducia. Come passa il tempo!  E quando si dice: com’è cambiato il mondo!, si dimentica di aggiungere come siamo cambiati noi: è la legge immutabile di questo pianeta.

Certo, alcuni cambiamenti li trovo esagerati, incomprensibili, troppo rapidi. Non sono più allenato come tempo fa; faccio fatica non solo ad accettare ma anche a capire certe  metamorfosi, certe mutazioni al di fuori delle mie esperienze e dei miei valori. 

Ogni giorno parte un treno, era usanza dire. Ma ora, di treni ne partono troppi, tutti insieme! E sì che io lo amo, il treno: è un mezzo di trasporto che mi lega ad eventi personali indimenticabili. 

A firenze per la nefrite, ma erano meno male i denti guasti ! Poi, a Colle una stazioncina finale, con i nonni e gli zii per vacanze irripetibili , soprattutto giù, nell’Elsa. E il servizio militare, come lo puoi dimenticare! E tante altre ancora, come tutti coloro che, come me, hanno fatto viaggi più o meno felici, più o meno da ricordare. Una stazioncina di passaggio; un treno che arriva; gente che sale, gente che scende. Gente che arriva, e che va, e tu non conosci nessuno, e non sai da dove viene né dove si diriga. Tutto questo per un solo passaggio dell’esistenza.

Eccolo, di fronte a me, quell’anonimo, solitario pino. Sono giorni troppo lunghi e uguali, in questi ultimi tempi, che poco mi lasciano per almeno sognare. Fissando quell’albero, mi sovviene ripensare alle passate stagioni; quando la vita aveva di fronte a sé molte tracce che, seguendole, davano -quasi tutte- sicurezza.

Oggi, perdute, non mi ritrovo più e, più mi chiudo, più riaffiorano quelle che hanno segnato la mia generazione, l’ultima dell’ormai vecchio XX secolo.

Rimangono gli amici, pochi, carissimi, e qua e là, oltre la famiglia, fuochi fatui di effimere fiammicelle che la devastante superficialità sta spegnendo una ad una.

Infatti, l’apparenza pretende sofferenze e produce ridicolo e squallore. Basta guardarsi attorno e vedere le mode, gli stili che la fanno da padroni. Mode e stili che mettono in risalto i lati peggiori, i difetti esteriori del corpo umano, per non parlare del freddo che fanno in inverno! 

Ma anche noi ci divertivamo, parbleu!, eccome se ci divertivamo. E sentivamo dentro i retaggi del passato, le regole generali, l’educazione: tutti dovevamo essere rispettati, e passati alle nuove generazioni. Ricordo bene che la nostra funzionava abbastanza bene, anche se le storture che ci hanno portato all’unità non erano ben superate, e chissà se verranno eliminate.

Poi, ci siamo montati la testa; o, meglio, ce l’hanno fatta montare tanto da affermare che una persona di 75 anni non è vecchia ! Allora, ho qualche chances anch’io, magari di ritornare su grossi e pesanti banchi di legno massello delle care antiche Elementari !

Viviamo in un mondo pieno di assurdità, tanto che mi è stato detto che, per imporre il nome al proprio nascituro, è dovere consultare “l’influencer” che, a naso, dovrebbe influenzare, scegliere per i genitori il nome a lei/lui più adatto ! Mi sembra, tutto questo, estremamente stupido: far gestire il proprio cervello da un emerito sconosciuto !

Oggi, così, mi è più facile ridare forza, vigore a tutto quello che ieri mi ha circondato; un mondo più verde, più umano, basato essenzialmente sul passo dolce e snello delle proprie gambe e non quello delle macchine.

Quindi, tutto quanto il mio passato lo paragono ad oggi, e le differenze sono nette e impietose. D’altronde, sono -come si dice- un uomo della strada come altri cento, mille, con alla base il rispetto, la convivenza, l’amicizia, un pizzico di umiltà; la rettitudine, la riservatezza, un po’ di grinta, e un cassetto con qualche piccolo sogno fatto di desideri semplici, a portata di mano.

No, oggi si deve esagerare, andare oltre, superare confini sfidando le leggi naturali, andare al massimo, tanto che, se ce la fanno, la felicità ottenuta durerà solo pochissimo tempo. Dopo, saranno inghiottiti dalla melma che pervade quasi tutta la terra.

Si diventa fenomeni a 10-15-20 anni, e poi uno su mille (forse) ce la farà a farsi ricordare anche perché vivere su un filo d’acciaio a diversi metri da terra è molto rischioso e, aggiungo, molto sciocco.

Ma così è, anche se non ci pare. Stamani, prima che spunti il sole, il chiarore che ristaglia ai bordi della conca della Valdinievole ha colori pastello così dolci tanto da far palpitare il cuore.

In questo gioco di ombre e di luci, lui, quel pino, mi rimanda un messaggio di pace. Quella pace che tutti dicono di volere; noi, basta mettersi alla guida della macchina, e gli istinti più brutali dell’uomo emergono e si accende la solita battaglia giornaliera.

Quel pino non se ne andrà come quel passero solitario. Rimarrà lì, dove ormai è diventato un mio punto di riferimento, uno scoglio che mi rimanda bagliori di tranquillità; una piccola, arcaica presenza su cui si fissa il mio sguardo, il mio mondo. Una certezza che, come stamani -chissà-, di là dal crinale, accanto a lui, pervasa dalle tinte albeggianti, potrei ritrovare quella quiete interiore che ho perduto da troppo tempo.