Adone, ovvero l’anemone | Franco Corsetti

Una leggenda parla di Anemone, una ninfa della corte di Chloris, la Dea dei fiori. Un giorno, Borea e Zefiro s’innamorarono della ninfa, e Chloris, indispettita, decise di punirla tramuntandola in un fiore, appunto l’anemone. Così la sua corolla fu condannata a schiudersi precocemente tanto da subire le violenti carezze di Borea, la tramontana -quel vento che scende tra i monti- tanto da disperdere nell’aria fredda i suoi fragili fiori.

Così, quando il delicato venticello primaverile, Zefiro, giunge sulla terra, il fiore è ormai avvizzito, ridotto ad un misero stelo avendo perso l’originale bellezza.

C’è un’altra versione. Si raccontava che Teia, re di Siria, avesse una figlia di nome Mirra, che però non rendeva omaggio ad Afrodite. La Dea, per vendicarsi, con l’inganno, ispirò al re una passione irresistibile alla figlia, che giacque col padre per dodici notti. Quando Teia scoprì l’inganno, si armò di un pugnale per uccidere la figlia, che supplicò gli Dei di renderla invisibile: fu trasformata nell’albero della Mirra. nove mesi più tardi, la scorza della pianta si spaccò, e ne uscì un bambino che fu chiamato Adone.

Questi divenne un giovane così bello che Afrodite lo nascose agli altri Dei, ma commise l’errore di confidarsi con Persefone che, appena visto, se ne impadronì e rifiutò di restituirlo. La contesa fu comunicata a Zeus, il quale la risolse dividendo l’anno in tre parti: Adone ne trascorse un terzo da solo, Persefone e Afrodite gli altri due.

Sembrava un verdetto equanime, logico, ma con gli Dei la “baruffa” era quasi quotidiana. Afrodite, persa la testa per quel “bell’uomo”, indossò tutti i giorni la cintura magica che la rendeva irresistibile, e riuscì a convincere Adone nel trascorrere con lei il tempo che poteva disporre di sé stesso. Ovviamente, Persefone, scoprì l’inganno e ne informò Ares; questi, ingelosito, si trasformò in cinghiale tanto che trafisse mortalmente il bel giovane.

Afrodite, sconvolta da quella morte, si curò sul corpo del giovane morente, piangendo. Poi, versò una sostanza magica sul sangue dell’amato, da cui spuntò l’anemone, un fiore di brevissima durata perché i venti lo privano presto dei petali.

Questa sua caratteristica si ritrova nel nome greco: ànemos ovvero vento, e si trasformò così grazie alla proliferante e libertina fantasia dei mitografi.

L’anemone rosso adonide veniva chiamato nelle campagne italiane anche “goccia di sangue”, mentre in molte regioni francesi era detto “sangue di Dio”. Così, il nostro folklore inserì questo fiore nel mazzo dedicato al Signore.

Nel linguaggio dei fiori, l’anemone simboleggia, con la sua vita effimera, l’abbandono, la fragilità e la vedovanza.