IL PAPAVERO. Fiore dell’oblio, compagno della fanciullezza | Franco Corsetti

Tutti i papaveri hanno, in farmacopea, effetti simili ma non sempre contengono sostanze altamente stupefacenti come il papaver sonniferum da cui si estrae l’oppio.

Il papavero rosso, rossolaccio (papaver roches) comune nei nostri campi nella tarda primavera, è blandamente sedativo e antispasmodico. Si dice che, soggetto all’influsso di Saturno, sia simbolo di pigrizia, misantropia e mollezza di carattere.

Queste sue proprietà soporifere pare abbiano ispirato il suo colore, il rosso intenso evoca invece immagini solari. Ai cristiani, il racconto della Passione e Morte di Cristo, con le sue carni sanguinanti, aveva suscitato immagini purpuree tanto che, incontrando nei campi i rosolacci, questi evocavano il simbolo del fiore Redentore, sbocciato nello scarlatto e nella porpora del suo sacrificio.

Da sempre considerato un simbolo del Cristo, lo troviamo spesso scolpito nelle cattedrali medievali.

Emblema dei potenti.

Questo fiore associato al potere per una leggenda che ha come protagonista il Re di Roma Tarquinio il Superbo. Per mostrare al figlio il metodo per impossessarsi di una città fece abbattere i papaveri più alti del suo giardino: cioè, si dovevano eliminare subito i cittadini avversari più autorevoli o potenti.

A questo simbolo, si legava una canzonetta degli anni cinquanta che recitava: “…lo sai che i papaveri son alti alti alti…”, alludendo al fatto che noi piccolini, dovevamo metterci da parte.

Ovviamente non mancarono le polemiche, nota specialità italica.

Nella vecchia tradizione popolare un suo petalo veniva posto sul palmo della mano dell’amata o dell’amato: colpito con un pugno, doveva produrre uno schiocco per dimostrare la loro fedeltà.

Nel linguaggio dei fiori simboleggia l’orgoglio subito.

Il Papavero da oppio.

I Greci antichi rappresentavano Hipnos, il sonno, con il capo coronato di papaveri, con questo fiore in mano, così come raffiguravano Tanatos, la morte, e Nyx, la notte. Questo papavero, il papaver sonniferum o da oppio, spontaneo in Asia, è alto da 30 cm a un metro, di colore bianco, roseo o violaceo. Prima della sua maturità, veniva inciso, e il suo succo, indurito, diventava l’oppio grezzo, e poi… .

Usato dai Sumeri, fu importato dalla diciottesima dinastia egizia; poi, dagli assiri e dai Greci. Dopo la loro conquista, apparve tra i Romani. Sembra che fosse Galeno che lo utilizzò per Nerone e Traiano. Con la caduta dell’Impero Romano, il consumo di oppio si ridusse al solo uso terapeutico, per poi diffondersi ancora nel pieno Medioevo. Nel vicino Oriente fu notevolmente diffuso tanto che divenne una piaga dell’impero turco: la sua coltivazione fu poi proibita nel 1971.

In Cina era conosciuto dal terzo millennio avanti Cristo e, dal diciassettesimo secolo con un dolce a base di oppio. A differenza degli europei e dei turchi, i cinesi lo mangiavano e lo bevevano.

Poi presero l’abitudine di fumarlo mescolato al tabacco e, dal 1630, da solo, dopo la proibizione di questo da parte di un imperatore della dinastia Ming. Proprio qui, in Cina, lo stupefacente era destinato a diffondersi più che altrove perché incontrò un terreno culturale adatto: il Taoismo. In un brano di Tchuang Tsen, questi suggerisce che, fumandolo, si può raggiungere “il Palazzo di nessun luogo, dove le cose sono identiche e si pratica l’inattività, la soppressione dello sforzo, la passività, e qui Vi riposerete, immobili, indifferenti e felici senza la coscienza di essere a riposo…”.

L’oppio, sotto forma di laudano (soluzione ottenuta tramite macerazione dell’oppio con l’aggiunta di aromi e coloranti, dotata di potere antispastico e antidolorifico), nell’occidente divenne la droga di molti scrittori e poeti, tanto da dare l’illusione di aver conquistato la atarassia, il distacco dalle preoccupazioni. Come scrisse Jean Cocteau dopo essersene disintossicato: “l’oppio assomiglia alla religione come un illusionista somiglia a Gesù Cristo“.

Insomma, io amo il papavero rosso, o rossolaccio, e lo ricordo sempre questo colore violento, che faceva compagnia al giallo del grano. Una festa del cuore e dell’anima anche se, oramai, la nostra “civiltà” ha cancellato il frumento ed i campi sono quasi tutti abbandonati.

Ciao, papavero, compagno della fanciullezza e della tua chiassosa presenza che ancora, da tanti anni, porto con me, quando, circondati da loro, ridevamo, gridavamo, cantavamo e saltavamo come grilli, ignari di ciò che poi, la conclamata modernità…