Alessandro Altobelli detto Spillo oggi compie 70 anni. Infatti è nato il 28 novembre 1955.
Si potrebbe scrivere e parlare a lungo su questa bandiera dell’Inter e della Nazionale italiana con la quale diventò campione del mondo nel 1982.
Altobelli ancora oggi costituisce una figura indelebile della storia del calcio italiano. Le sue innegabili qualità calcistiche si tradussero in oltre duecento goal memorabili, realizzati in una luminosa carriera iniziata negli anni Settanta e terminata nel 1990.
Mentre gli porgiamo i più affettuosi auguri lo ascoltiamo volentieri in questa nostra intervista.
D. Altobelli, quanti ricordi la legano a Milano e allo stadio di San Siro?
R. «Praticamente tutta la mia carriera, tutta la mia vita, dall’esordio all’ultima giornata, alle coppe vinte, al campionato vinto. Devo dire che quando si parla di San Siro e quando si parla del Meazza si apre il mio cuore e, purtroppo, ultimamente c’è anche un po’ di sofferenza da quando ho saputo che lo buttano giù… Io sono veramente contrario perché abbattendo San Siro, abbattendo il Meazza, buttano giù 200 anni di storia».
D. Oggi cosa le resta di quei ricordi?
R. «Della mia Milano ricordo quando l’Inter mi prese dal Brescia. L’Inter puntava allora sui giocatori della Serie B. Mi avevano fatto seguire da Sandro Mazzola e da Giancarlo Beltrami ed erano sicuri. Io non ero tanto sicuro perché il salto dal Brescia all’Inter era alto, però ero anche tifoso dell’Inter; sono sempre stato un tifoso dell’Inter, anche da piccolo, e quindi avevo pure realizzato il mio sogno. Devo dire che poi è stata una scelta che non è che ho indovinato, però mi è andata alla grande come avevo pensato».
D. Come giunse nell’Inter?
R. «Ho iniziato a Sonnino, il mio paese di origine; ho fatto l’Juniores Regionale e c’ero io e un altro ragazzo che si chiama Giovanni Bernardini, che eravamo bravini, ma lui forse lo era anche più di me; ci venivano a vedere, i tecnici della squadra del Latina. All’interno di quella squadra c’era un certo Nando che lavorava alla FIAT, veniva a vedere le partite, ma, soprattutto quando era finito il campionato, veniva sempre a Sonnino per cercare di farci firmare per andare a giocare nel Latina. Venne un po’ di volte finché un giorno ci portò a Latina con la sua macchina un bel 127 e ci dette 50.000 lire a testa, quelle in banconota grande, e noi firmammo subito; fu un po’ la mia fortuna. Con il Latina, nella quale disputai un grande campionato, mi misi in mostra e mi scelsero per giocare nel Brescia. Sono stato tre anni a Brescia e il Brescia mi ha valorizzato, mi ha preparato, e Brescia è stata la mia città, che mi ha permesso di arrivare all’Inter e di essere pronto per giocare in Serie A. E nel Brescia ho voluto concludere con il calcio giocato al termine del campionato 1989/90. Per me l’Inter, facendo la scelta di acquistarmi, rischiò anche un po’ perché aveva l’allenatore nuovo Eugenio Bersellini. Era un periodo dove avevano fatto cambiamenti, ormai non c’erano più tutti i grandi campioni e stavano riformando. Devo dire che, tutto sommato, mi andò bene perché trovai una grande società, che mi mise sempre in condizione di esprimermi al meglio».
D. Lei ha disputato ben undici stagioni con l’Inter (1977-1988). Come era l’Inter degli anni del suo esordio rispetto a quella degli ultimi anni Ottanta?
R. «Ho giocato nell’Inter dal 1977 al 1988, il calcio di quegli anni lo reputo più bello, più interessante, più coinvolgente. Ho militato in quegli 11 anni nell’Inter, ma allora il calcio non era cambiato. Il calcio sta cambiando adesso, da qualche anno, ma in peggio sta cambiando, perché abbiamo visto ormai che non ci sono più i grandi campioni. In quell’ epoca nostra erano tanti i giocatori e tanti i campioni, tant’è vero che abbiamo vinto i mondiali nel 1982. La Juventus aveva tutta la squadra e vinceva il campionato, poi c’erano l’Inter, il Milan, la Roma, la Lazio, il Napoli… devo dire che erano anni belli per i tifosi del calcio, ma anche per quelli non tifosi, perché abbiamo sempre portato molto in alto l’Italia, specialmente nel calcio».
D. Dal 1988 al 1989, all’età di trentatre anni, vestì la maglia della Juventus. Come visse questo trasferimento in una città e in una squadra diversa da Milano e dall’Inter?
R. «Ero all’Inter da 11 anni ed erano arrivati Giovanni Trapattoni ed Ernesto Pellegrini e sembrava che andassero d’accordo, ma i due mi soffrivano per la personalità, per il carattere, soprattutto per la stima che tutti i miei compagni avevano verso di me. Io ero quello che li rappresentava e quello che andava a discutere dei premi con la società e questo mi costò caro…».

D. Nella sua carriera ha segnato tantissimi goal favolosi e importanti. Quali sono stati i più belli?
R. «I gol più belli veramente non faccio fatica a riconoscerli perché per me i gol sono tutti belli; a quell’epoca era molto difficile giocare, era molto difficile segnare perché c’erano difensori, come Claudio Gentile, Pietro Vierchowod… e ogni squadra aveva tre-quattro marcatori forti e allora si marcava a uomo e avevi sempre due giocatori vicino, quindi i goal era molto più difficile farli».
D. Quali erano le sue caratteristiche distinguibili da considerarla tra gli attaccanti più forti del suo tempo?
R. «Non vi permetterò mai di dire che ero tra gli attaccanti più forti del mio tempo. Io devo dire che avevo tutte le qualità per giocare a calcio, perché avevo il destro, avevo il sinistro, ero forte di testa e in acrobazia, avevo dribbling, sapevo dribblare, sapevo giocare di prima, sapevo fare gli scambi, ero un giocatore completo, non mi mancava niente; e quindi facevo tutto bene, quando ero in forma, quando ero in giornata naturalmente, perché poi ci sono anche le giornate no e facevo ridere».
D. Cosa prova quando pensa al suo goal nella finale del Campionato del mondo 1982? Cosa prova, invece, ricordando il Campionato del mondo in Messico nel 1986?
R. «Il goal dei Mondiali è quello più importante perché non esiste un altro goal più importante di quello, perché quello lì è stato un goal in una finale della Coppa del Mondo e fu il gol che chiuse la partita 3-0 e il goal per cui il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, disse: adesso non ci prendono più. Quindi per me è stato un goal più importante, col quale ho dato la tranquillità a tutta l’Italia e a tutti i tifosi italiani perché ho chiuso la partita con quel terzo gol.
Il Campionato del mondo in Messico lo reputo il mio vero Mondiale, perchè ero titolare in Nazionale, avevo già vinto i Mondiali nel 1982, avevo disputato le partite per le qualificazioni e avevo segnato, quindi è stato il mio Mondiale, durante il quale.. qualche volta fui anche il capitano. È stato il Mondiale dove c’erano Gaetano Scirea, Claudio Cabrini, Marco Tardelli, Bruno Conti, è stato un mondiale dove ho fatto capire che ero un attaccante che meritava di essere in Nazionale».
D. Quali giorni considera indimenticabili durante la sua militanza nel Brescia, Inter e Juventus, e vestendo la maglia della nazionale per 61 volte?
R. «A Brescia sono arrivato da un paese e avevo giocato in Serie C, e quindi è stata la città che mi ha accolto e poi sono sempre rimasto qui e abito ancora qui; quindi ho fatto tre anni belli, durante i quali mi sono formato come giocatore e come uomo. Abito ancora a Brescia e sono sempre riconoscente verso questa grande città. Però è giusto anche parlare di Latina, perché da Sonnino ho iniziato dal Latina, in serie C, e avevo una società, avevo i giocatori e avevo l’allenatore che mi stimavano tantissimo, mi coccolavano, mi portavano a mangiare, agli allenamenti, mi venivano a prendere e quindi Latina e Brescia sono state due città veramente importanti che mi hanno permesso di sperare di fare qualcosa nel calcio. A Brescia sentivo che c’erano diverse società interessate a me e quando ho sentito dell’Inter ho detto basta; io ero tifoso dell’Inter, quindi grazie al Presidente del Brescia Calcio Sergio Saleri e a Francesco Saleri del Brescia Calcio sono stato venduto all’Inter e lo stesso Francesco Saleri mi accompagnò a Milano quando dovevo fare il contratto e firmare per andare all’Inter; quindi veramente sono stato trattato da campione anche se ero l’ultimo arrivato.
Il giorno indimenticabile col Brescia fu il primo giorno quando sono arrivato e quando ho cominciato subito con la prima squadra; era novembre e dovevano vendere Ezio Bertuzzo, che era il centravanti del Brescia più forte e che aveva una certa valutazione. Lo vendettero all’Atalanta e quella domenica non venne a giocare. Andammo a giocare a Catanzaro e io esordii a Catanzaro e il Brescia vinse 1-0 e realizzai il goal della vittoria. Da lì è iniziata la mia carriera.
Il giorno più bello nell’Inter fu quando sono arrivato a Milano in sede, dove c’erano Mazzola e Beltrani che mi aspettavano, mi attendevano e mi portarono a vedere le coppe dei campioni, mi hanno portato a vedere un po’ tutto e lì ho capito che ero in una grande società, ho capito che il calcio era un’altra cosa e devo dire che mi servì tanto, perché ho sempre avuto l’appoggio di tutti e questo è quello che mi ha permesso veramente di diventare qualcuno.
ll giorno più bello nella Juventus fu quando mi chiamò il presidente Giampiero Boniperti. Era finito il campionato 1987/88, ero andato sul lago, ero lì con la famiglia e mi chiamarono perchè c’era una telefonata per me. Allora andai al telefono e dissi: Pronto! E dall’altra parte: Spillo? Era Boniperti. Gli dissi: Presidente ha sbagliato il numero. E lui: No, non ho sbagliato numero, ti cercavo e ti cercavo e domani vieni qui a Torino. Io ero lì e non avevo la squadra, non l’avevo più perché ero andato via dall’Inter, perché Trafattoni e Pellegrini non mi volevano più, quindi mi avevano scaricato e io dopo un mese che ero senza squadra, senza contratto, senza niente, mi chiamò Boniperti e mi disse di andare a Torino. Io andai e quando uscii dall’incontro con Boniperti avevo trovato un presidente, una società dove non era come con Pellegrini e Trapattoni.

Con la Nazionale tutti i giorni erano belli perché quando ero all’Inter speravo sempre in una chiamata. Poi da quando mi convocarono per l’amichevole a Genova contro il Portogallo, in cui vincemmo 3 a 1 e in cui realizzai due goal, ho cominciato a frequentare, e allora i giorni più belli erano i giorni in cui mi convocarono per disputare il Campionato Europeo del 1980. Giungemmo in semifinale e perdemmo con il Belgio. Poi a Napoli disputai la partita con la Cecoslovacchia per il 3°e il 4° posto. In quella segnai un goal su rigore. Però i giorni più importanti furono la continuità con cui mi chiamava il C.t. Enzo Bearzot, perché mi stimava, mi faceva giocare dove secondo lui potevo rendere bene. In Nazionale avevo Azeglio Vicini che era l’allenatore in seconda e che abitava anche lui a Brescia. Dopo il 1986, quando disputammo quel Mondiale in Messico in cui segnai tutti i gol dell’Italia, non volevo più giocare in Nazionale, ma Vicini, quale nuovo commissario tecnico della Nazione subentrato a Enzo Bearzot, lesse sulla stampa appunto questa mia decisione di non voler più giocare in Nazionale e una mattina mi chiamò e mi strillò dicendomi che non dovevo dire questo perché lui aveva bisogno di me. Così io dopo sono andato e ho giocato con la maglia azzurra ancora due anni fino al Campionato d’Europa del 1988. Era una buona squadra, era una squadra giovane, era l’Under 21 che aveva fatto dei buoni risultati. Quindi con Vicini ci trovavamo alla perfezione e mi dava la responsabilità anche della gestione dei giocatori, perché ero il più vecchio e devo dire che ottenemmo dei buoni risultati».
Foto fonte Wikipedia







































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