L’ Empoli Football Club chiamato semplicemente Empoli fu fondato nel 1920.
Quante pagine si potrebbero scrivere su questa società calcistica che supera il secolo di vita!
Varie pagine della sua storia potrebbero essere dedicate ad uno dei suoi principali protagonisti: il centrocampista Marco Calonaci.
Questi vestì la maglia azzurra per vari campionati negli anni Ottanta con prestazioni importanti.
D. Calonaci, è vero che la sua esperienza calcistica ebbe inizio nell’Empoli?
R. «Sì. Praticamente sono cresciuto nell’Empoli. Ci sono andato nel 1976 quando avevo tredici anni. Giocai per quattro anni nelle giovanili e nel 1980, a diciassette anni, debuttai serie in C1. E poi alla fine di quell’anno partecipai al Torneo delle quattro nazioni, Inghilterra, Italia, Olanda e Scozia. Gli incontri si disputarono a Montecatini Terme, a Lucca e a Empoli. Praticamente iniziai a giocare nella prima squadra dell’Empoli nel 1980 e vi rimasi fino al 1988. Però il campionato1981-82 lo disputai nella Sampdoria; avevo 18 anni. Era uno squadrone ideato per vincere quel campionato di serie B.
Non eravamo partiti bene con l’allenatore Riccomi. Infatti fu sostituito da Renzo Ulivieri (che poi avrei ritrovato a Modena nel 1989-90, quando si vinse il campionato). La Sampdoria del 1981/82 poteva arrivare tra le prime anche in serie A. Infatti in Coppa Italia arrivammo a disputare la semifinale che perdemmo con il Torino».
D. L’esperienza con la maglia della Sampdoria fu significativa?
R. «Sinceramente sarei rimasto a giocare in serie C1 con l’Empoli piuttosto che giocare poche partite in serie B con la Sampdoria. Quell’anno, a febbraio, fui dato in prestito alla Fiorentina per disputare il Torneo di Viareggio, quando questo torneo aveva il suo valore. Vincemmo quel Torneo e mi ricordo che nella partita finale giocarono calciatori come Armando Ferroni, Marco Baroni, Luca Moz. Dopo il Torneo di Viareggio ritornai a Genova nella Sampdoria e terminai l’annata lì. Al termine del campionato 1981/82 la Sampdoria conquistò la serie A e io ritornai a Empoli, dove ebbe inizio la scalata. Praticamente con il campionato 1982/83 iniziò tutto il percorso che gradualmente ci portò a conquistare la serie A. Infatti con l’allenatore Giampiero Vitali vincemmo quel campionato di serie C1 e fu un’annata veramente strepitosa».
D. Qual è stata la più bella partita disputata con la maglia dell’Empoli?
R. «Ce ne sono più di una considerando che ne ho disputate oltre duecento. Carlo, se devo essere sincero, una partita che non potrò mai dimenticare fu quella disputata a Firenze contro l’Inter allenata da Giovanni Trapattoni. Nell’Inter c’erano Zenga, Passarella, Altobelli, Bergomi; e c’erano anche quarantacinquemila spettatori a vederci. Quando negli spogliatoi ci si legava le scarpe prima della partita ci ballavano le gambe. Poi quando l’arbitro fischia o che ci siano tre persone o che ce ne siano ottantamila ad un giocatore gli passa tutta l’emozione.
Vincemmo 1-0 con un goal di Osio. Io giocai quasi tutto il secondo tempo e Zenga mi parò una palla incredibile, leggermente deviata da Passarella. Zenga lo conoscevo sin dai tempi della Nazionale C. Gli dissi: Walter mi hai rovinato la carriera, se facevo quel goal così…. E lui mi rispose: Stai zitto che abbiamo perso. Quella partita fu il mio debutto in serie A».
D. La maggior parte dei suoi goal le realizzò di testa
R. «E’ vero. Se il goal di testa che realizzai al Como il 27 marzo 1988 avesse consentito di vincere la partita, anche se avevamo la penalizzazione di cinque punti, ci riagganciavamo alla zona salvezza. Però la partita terminò 1-1».
D. Proprio in quel campionato giocavano calciatori di alto livello come Gullit, Van Basten, Maradona, Careca, Boniek…
R. «I miglior giocatori del mondo erano quasi tutti in Italia. Il calcio italiano di quegli anni era il più importante e contava più il campionato delle coppe. Molti giocatori stranieri volevano venire a giocare in Italia. Perfino le squadre minori avevano grandi stranieri. Ai miei tempi eravamo sedici giocatori più due aggregati della squadra primavera. Nelle squadre di oggi militano ventisette, ventotto calciatori e guadagnano anche molti soldi. Mi chiedo che stimoli possa avere un ragazzo di venti anni che a venticinque si ritrova in banca qualche milione di euro, cosa può cambiargli? Che grinta può mettere per arrivare? Ai miei tempi, anche se si stava bene, non avevamo certo cifre che in due anni o tre anni potevano sistemarti. Con una carriera di dieci-dodici anni, se non eri fuori di testa, allora sì. Oggi se un calciatore fa bene il primo anno, quello successivo guadagna dei milioni, non prende discorsi».
D. Nell’ Empoli che disputò il campionato 1987/88 militava lo svedese Johnny Ekström
R. «Ekström proveniva dal IFK Göteborg ed era la squadra più importante della Svezia. A quei tempi il IFK Göteborg arrivava assai in avanti nelle coppe. Ekström preferì venire a giocare in una squadra neo promossa in serie A come l’Empoli. Capisci Carlo cosa era il calcio italiano degli anni Ottanta? A quel tempo la competizione più importante era il campionato italiano. Ekström quando terminò di giocare nell’Empoli andò a giocare nel Bayern Monaco. Possedeva una grande velocità e la progressione era il suo forte. In verità non era neanche una punta pura, perché nella Nazionale svedese giocava esterno però nell’Empoli giocava punta centrale».
D. Su cosa era impostato il calcio degli anni Ottanta rispetto ad oggi?
R. «Diciamo che era quasi un altro sport. Prima di tutto certe cose le gestivamo da noi calciatori. Con le società andavamo noi a parlare personalmente e non ci andava a parlare il procuratore. Noi eravamo anche un po’ più maturi dei giocatori di oggi. Non voglio entrare in merito a questioni tecniche, ma il calcio dei miei tempi era tutta un’altra cosa. Forse era meno divertente da vedere, perché ai miei tempi erano tanti i duelli, uno contro uno. Oggi sono tanti passaggi per arrivare in area di rigore. I difensori fanno girare la palla come centrocampisti e non sanno più marcare come i difensori di una volta. Preferiscono fare 4-4 anziché 2-1 o 1-0. Per certi punti di vista è meglio ora perché le partite sono più spettacolari e iniziano praticamente a venti minuti dalla fine. Quando giocavo io se il primo tempo terminava in vantaggio, all’ottanta per cento si vinceva la partita».
D. Qual è il “segreto” dell’Empoli per essere riuscito a rimanere ai vertici del calcio italiano?
R. «Le cose sono cambiate anche come personaggi alla guida. Fino a metà degli anni Novanta c’era Silvano Bini che ha ricoperto vari ruoli e che faceva il bello e il cattivo tempo. I soldi arrivavano praticamente dalla Sammontana e Bini gestiva le cose; ma i soldi erano pochi. Dopo Bini è subentrato Corsi che ci ha saputo fare anche lui. E senza grosse possibilità ha scommesso su allenatori emergenti e, soprattutto, su osservatori bravi presenti in tutto il mondo. L’ Empoli è stata una delle prime squadre a inviare i suoi osservatori in sud America e anche in Africa. Sono tanti i giocatori stranieri che sono passati da Empoli. A quel tempo i giocatori stranieri costavano molto meno rispetto a quelli italiani. Oggi il settanta per certo dei giocatori di serie A sono stranieri e come possiamo pensare che la Nazionale abbia una squadra ai livelli degli anni passati?
D. Ritiene che il calcio abbia veramente premiato i suoi sacrifici?
R. «Non lo so; tutti abbiamo dei rimpianti, però io sono contento di quello che ho fatto. D’altra parte io abito a Ginestra Fiorentina e nel giro di cinquanta km non c’è nessuno che abbia giocato nelle categorie professioniste da quando ci ho giocato io. Tutti pensiamo se avevo fatto, se avevo deciso… ma con il se si va poco lontano…».
D. Cosa le dispiace della sua esperienza calcistica?
R. «Sono fra i primi 20 giocatori dell’Empoli con più presenze. Tra campionato e Coppa Italia conto oltre duecento partite, e pensare che a quei tempi i campionati erano meno lunghi e di conseguenza c’erano meno partite rispetto ad oggi. Praticamente ho compiuto tutta la scalata giocando dalla serie C1 fino alla serie A. Ho tanti bei ricordi. L’anno che vincemmo il campionato di serie C1, 1982/83, dove ebbi tante richieste da squadre importanti anche di serie A, decidemmo di disputare il campionato di serie B per consolidare la squadra ed ebbi qualche infortunio. Non andò male, ma nemmeno come me lo aspettavo. Fu quello il periodo in cui dovevo scegliere e tentare una carta grossa. Andò così… ma sono contento».
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D. Gli anni di Empoli l’accompagnano ancora oggi nella vita?
R. «Certo, certo, certo. La prima partita che seguo è sempre quella dell’Empoli. Poi seguo certamente anche le partite delle squadre nelle quali ho giocato: Modena, Sampdoria, il Casarano…Sono legato alle squadre nelle quali ho giocato. Mi sono trovato bene in tutte. Però nell’ Empoli vi ho trascorso dagli anni dell’adolescenza fino a ventisei anni. Gli anni più belli della vita».
D. Cosa rifiuta del calcio di oggi?
R. «Si vedono delle belle partite, ma tutto è in funzione dei soldi. Presidenti italiani che investivano nel calcio, e in qualche caso ci rimettevano, non ci sono più. Oggi dominano le multinazionali, i fondi… Ai miei tempi c’erano presidenti come Romeo Anconetani del Pisa, Ernesto Pellegrini dell’Inter, Costantino Rozzi dell’Ascoli, Corrado Ferlaino del Napoli, Giampaolo Pozzo dell’Udinese, Dino Viola della Roma… ed erano grandi personaggi che credevano nel calcio e non tutti ci hanno guadagnato. Oggi i conti devono tornare. L’Empoli, però, è ancora un esempio, perchè per militare tanti anni in serie A occorre saperci fare. Non è da tutti ed è l’unica società toscana che non è mai fallita. Le altre sono tutte fallite, ma l’ Empoli no».
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