Sguardi e ricordi. Franco Corsetti

Credo sia successo a tanti di ritrovarsi in una situazione singolare; camminare lungo la strada e, da una macchina di passaggio, vedersi salutare. Istintivamente, io contraccambio il saluto, e poi mi chiedo: “Ma chi era?

Ora, il mio problema è forse un po’ più marcato rispetto agli altri: cammino e osservo ciò che mi circonda e ciò che incontro; in più, spesso lascio liberi di andare dove vogliono i pensieri e ricordi. E’ ovvio che, alcune volte, se vengo salutato e non rispondo, sono immerso in una realtà parallele a quella attuale, concentrato a vivere – e rivivere – situazioni diverse da quel momento.

Certo, l’impressione può essere di maleducazione: non rispondere ad un “Ciao!” non è proprio fare una bella figura, ma chi può dire che, almeno una volta, non abbia sognato ad occhi aperti? Un po’ dipende anche dall’età. Col passare del tempo i riflessi non sono più scattanti né reattivi come prima, e si può impiegare qualche decimo di secondo in più nel realizzare quell’incontro.

Poi, i sensi, e cioè l’udito e la vista possono mostrare limiti dettati dall’uso fatto negli anni passati. Insomma, io rispondo con un breve ritardo al saluto che mi viene fatto e, subito dopo, mi chiedo: “Ma chi era?”. Ed è inutile sforzare la memoria perché nove volte su dieci l’immagine è passata così velocemente che non ti può aiutare neanche la marca della macchina: sembra sconosciuta.

Non è che poi uno se ne deve fare una colpa: può succedere, come mi è successo, al rovescio, di salutare qualcuno che credevo di conoscere e, da subito, visto che non rispondeva, far nascere il dubbio di aver commesso una gaffe: ma quello che ho salutato era proprio l’uomo che conoscevo? Sono particolari di passaggio, come di passaggio è fatta ormai la mia quotidianità: le mattine che passo per Pescia sono quasi di corsa ma, nel tragitto, un conoscente lo incontro sempre.

Di solito, un breve saluto di cortesi per una lontana frequenza: pochissimi, ormai, dell’avviamento e della ragioneria; qualcuno di più dei tre anni coni G.S. Duomo di Ernesto Nucci, e dell’anno del G.S.S. Stefano. Sono passati quarant’anni, e come siamo cambiati! Poi, oltre all’aspetto fisico, c’è di mezzo la fornitura di corrente elettrica. Non quella che bimestralmente ci fa capire meglio spengerle, le luci, come si faceva un tempo addietro, per non sprecarla.

Mi riferisco a quella che non arriva più cosi vigorosa alle celluline grige citate spesso da monsieur Hercule Poirot: l’affievolimento delle lampadine della memoria. Quando quelle si spengono, hai voglia di sforzarti: tutto è buio! Il guaio, se vogliamo chiamarlo così, è che non si possono sostituire, magari utilizzando quella a “led” che dicono siano eccezionali per i fari delle automobili. Non disperiamo: la tecnologia vi stupirà, nel futuro.

Ecco che, allora, dopo quel fugace saluto a cui tu hai risposto istintivamente, ti porti a casa qualche dubbio, e te lo terrai: ma chi era? Può succedere, qualche giorno dopo, d’incontrare di persona quel tale che, vedendoti, ti ferma e si fa riconoscere: “Non ti ricordi?”. Scartabellando nella memoria, non è un volto nuovo, anzi è antico come la mia barba ma, quasi sempre, i collegamenti finiscono lì. Si dicono frasi di circostanza ed io mi sento un po’ imbarazzato per non essere in grado di ricostruire decentemente quel periodo della mia vita vissuto in parallelo a lui.

Il ciao di saluto non risolve il problema; mi dico: lo ricorderò per la prossima volta, ma non ne sono sicuro; già dopo pochi minuti, quell’incontro scivola via, non riesco a trattenerlo, a conservarlo. Ma c’è di peggio! Fuori dal mio modesto campo d’azione, pochi chilometri quadrati di Collodi, vi è mai capitato, camminando, sentire addosso qualcosa di strano, di essere quasi spiati? A pochi metri, un signore, fermo, vi sta fissando, o così sembra. Gli occhi s’incrociano, ma non parlano. A me è successo un paio di volte, a Firenze, se ricordo bene. Impegnato come sempre nei miei pensieri a briglia sciolta, ad un semaforo rosso per i pedoni, scorgere, con la coda dell’occhio, una persona che mi fissava.

E questo chi è? Di più: questo, che vuole? Imbarazzo, da parte mia. Comincio, automaticamente, a spulciare l’archivio della memoria con tanto affanno: devo decidere in pochi attimi. Sarà l’università? Sarà il militare? Saranno altre occasioni d’incontro di svariati motivi? Niente, non risalgo a niente, e i nostri occhi si fissano senza che nessuno dei due parli. Attonito, scatta il verde e, anche non volendo, quasi sono spinto a camminare, andare avanti, anche velocemente, e il dilemma rimane: ma chi cavolo era? Avrò fatto una brutta figura?

Momenti d’incertezze occasionali, che poi superi dopo breve tempo; provi, più tardi, con calma a ritentare di risalire a quel viso che sembra del passato, ma è inutile: sei costretto a lasciar correre, lasciar passare, perdere. Va un po’ meglio, per me, quando ritorno in alcuni luoghi particolari, che hanno segnato brani intensi di vita, pagine d’esistenza che risfoglio ancora oggi volentieri.

Quando capita, quando posso, cerco di ripercorrere quelle vie, di rivedere quei monumenti, di respirare quell’aria che ha coinvolto tutti i miei sensi. Ma tanto è cambiato, troppo, almeno quanto sono cambiato io. Firenze non è più la stessa del 1961, del 1970, del 1995: i suoi gioielli sono rimasti li stessi, ma quanto è diverso dentro! Cerco, così, qualcosa di particolare, un angolo speciale che mi faccia rivivere qualche episodio di quelle stagioni.

Illuso! Come due occhi che ti guardano e tu non riesci a risalire a chi appartengono, così mi fermo – confuso – sicuro di non aver sbagliato la traccia che seguivo e, ora, ciò che via avevo lasciato, non c’è più. I miei occhi, in questo caso, si fissano su quel particolare, e lui non mi rimanda niente: si è dimenticato di me, è sceso l’oblio. Siena è un po’ meno lacunosa, ma l’ho vissuta poco, così come Lucca. Il mare, invece, è sempre quello, ma il fanciullo che ero non c’è più.

Però, durante questi miei ritorni al passato, queste mie incertezze sugli sguardi di un estraneo, ciò che veramente mi ha più turbato è stata l’improvvisa, inspiegabile, fortissima sensazione di avere già vissuto certi particolari momenti; di ritrovarmi in un luogo che, ora ne sono convinto, mi è estraneo e, invece, una parte di me dice che già lo conoscevo, già l’avevo vissuto.

E’ un dubbio forte perché tutto questo s’intreccia e si mescola con i sogni, che poi si collegano con la realtà. Non vado oltre, per chiara incompetenza. Insomma, queste stravaganti sensazioni l’ho avute 2-3 volte: sono l’unico? Spero di no, anche perché, passati pochi attimi, secondi, il fracasso dell’umanità e del progresso mi riporta sulla terra, e tutto si cancella: quel brano di memoria si perde chissà dove, per sempre.

Da un lato, è una sorpresa; dall’altro, dove va la mia testa? Sogno o son desto? Ma è il bello della vita: incontri, memorie, sogni, tutto mischiato, a volte, ma tutto che ha fine ben preciso. La nostra è una vita fatta di continue conoscenze, scoperte, esperienze: “Considerate la vostra semenza …” ci spronava Ulisse per mezzo di Dante, e gran parte di noi lo fa.

Poi, quando il camminare si fa più lento, e trovi il gusto di andar indietro con la mente, il processo che facciamo è semplicissimo: nel tratto di strada che abbiamo fatto, tanta gente, tanti luoghi, tante emozioni si sono incardinate dentro di noi. Molte le abbiamo perdute; alcune, le più forti, ancora palpitano: sono quelle le più sentite, le più intime, le più viscerali che non moriranno mai perché, finché qualcuno le ricorderà, vivranno con noi fino in fondo.