Il 99,5% degli studenti viene promosso. Come si fa ad essere bocciati?

Pochi giorni fa lo psicologo Paolo Crepet ha dichiarato, con il consueto atteggiamento provocatorio che ha in televisione, che in questo paese è praticamente impossibile essere bocciati a scuola, se, secondo i dati più recenti del Ministero, il 99.5% degli studenti viene promosso. La spiegazione delle conseguenze che dà mi trova, una volta tanto, d’accordo (lo specifico perché in altre occasioni ho trovato le sue riflessioni abbastanza banali, e frutto di una conoscenza sommaria di come funziona la scuola oggi); mentre invece sulle cause la penso diversamente da lui.

Secondo Crepet una scuola che non ferma chi non si impegna è fallimentare nel suo intento educativo, e non prepara adeguatamente alle sfide che l’Università o il lavoro mettono davanti ai ragazzi. Sforna diplomati poco preparati, incapaci di organizzare un lavoro a lungo termine, fragili e pronti ad arrendersi alla prima frustrazione: un esame andato male o un contratto non rinnovato. Oppure fa credere ai ragazzi di essere in grado di affrontare qualunque difficoltà, anche quelle oggettivamente insormontabili: se a diciotto, diciannove anni una persona non ha preso coscienza dei propri limiti o delle proprie attitudini è inevitabile che compia scelte sbagliate, scelte che costano in termini di denaro e fatica e non portano a niente.

Io non mi stanco mai di ripeterlo; per i maestri e i professori uno studente non corrisponde mai a un voto. Il voto serve, nella maggioranza dei casi, a dare un’indicazione su quelle che sono le inclinazioni e le difficoltà, da parte di un professionista che valuta con occhio critico se un ragazzo è più bravo a scrivere o a fare calcoli, a disegnare o a apprendere una lingua straniera; i consigli poi possono essere accettati o meno, ma solitamente sono dati a fin di bene.

Tornando al discorso su una scuola che promuove tutti ma livella verso il basso, spesso perde anche la capacità di orientare, e fa perdere quella motivazione a imparare che è il motore fondamentale di ogni relazione educativa.

Relativamente alle cause di questo appiattimento Crepet sostiene che la scuola oggi ha paura del confronto con le famiglie e gli studenti stessi, e quindi, per avere meno noie, si promuove anche quando non ce ne sarebbero i presupposti. L’ho sentito dire tante volte anche io: quell’insegnante alla fine trasformerà le insufficienze in sufficienze, per non dover tornare a settembre per gli esami di riparazione…forse in qualche caso è così; ma si tratta, appunto, di casi isolati.

Le motivazioni per cui si promuove sono più complesse, e spesso sono legate a precise indicazioni ministeriali, o al timore di perdere studenti per strada: il drop out fa paura a chi come me insegna e vorrebbe che i ragazzi a scuola ci stessero almeno fino ai 16 anni, per non saperli in strada, sul divano di casa o peggio in qualche brutto giro.

Alla secondaria inferiore essere bocciati ormai è rarissimo; alle superiori è già più frequente, ma ogni singola bocciatura è sempre oggetto di discussioni spesso accese tra colleghi, e di valutazioni che tengono conto di tanti fattori. Se per esempio una volta l’aspetto psicologico di una bocciatura era forse meno importante, oggi se ne tiene conto, specialmente quando si hanno davanti soggetti fragili, o che vengono da situazioni di disagio; e questo devo dire che è un passo avanti, rispetto al passato. Quello che invece è secondo me un passo indietro è l’atteggiamento iperprotettivo che le famiglie hanno nei confronti dei figli, ai quali molti genitori sentono di dover spianare la strada eliminando qualsiasi difficoltà sul tracciato.

Per far questo studiano insieme ai figli (che invidiabile pazienza!), svolgono compiti al posto loro, li preparano alle verifiche, controllano ossessivamente il registro elettronico per vedere quali lezioni ci siano da fare. È un atteggiamento deresponsabilizzante, che a lungo andare avrà conseguenze negative. Forse eviterà una bocciatura. Ma siamo sicuri che creerà un adulto responsabile e sicuro di sé?