Quando la vita s’acquieta e trovi il tempo di mettere in ordine il tuo passato, è il momento in cui riscopri, con un velo di commozione, molti oggetti e luoghi che hanno segnato la strada che hai percorso. È, quella, l’epoca degli affetti, di qualcosa che ieri ti ha conquistato con dolcezza e con un leggero trasporto interiore che si è, giorno dopo giorno, trovato un suo spazio nel tuo intimo.
Gli affetti sono sentimenti meno intensi dell’amore, che è, per sua natura, travolgente passionale ed esclusivo, ma che, in questi ultimi anni, ha mostrato crepe di incertezza che ne hanno minato la sua integrità. Amori che finiscono così come ieri; ma ora, spesso in modo turbolento se non tragico, e che niente hanno da dividere con il suo essere più profondo, più coinvolgente. Finiscono, e poi rinascono, e ancora si confondono in un turbinio di parole ripetitive e superficiali perché ciò che viene chiesto è assai diverso da ciò che la cruda e nuda realtà ti propone.
Un carico di aspettative che le spalle moderne non ce la fanno a sostenere troppo impegnate a soddisfare, curare e privilegiare il proprio egoismo; proprio per questo sarà vero che l’amore è una farfalla con le ali di burro? Gli affetti, invece, non si spengono. Proprio per la crisi dell’amore, questo sentire semplice e modesto prende più vigore e più forza di ieri. Quando nascono, lo fanno quasi furtivamente, non esplodono come quello, definito “colpo di fulmine“. Il nostro è un calmo sentire che cresce lentamente, occupa spazi sconosciuti, e prosegue la sua corsa senza clamori, dolcemente.
Quanti sono, poi, è difficile quantificare, così come diversi sono gli amori, ma i primi controllano meglio le passioni, sono più intimi e cordiali, spesso vanno a braccetto con l’amicizia. L’affetto per i genitori, i fratelli, qualche parente: quelli familiari, che portiamo sempre dentro noi stessi; soprattutto, quello per i nonni, che ci accompagna anche dopo la loro partenza.
Poi, per gli animali, anche se a volte si intende ad andare sopra le righe, e l’affetto si trasforma in amore con la conseguenza di una accettata nostra schiavitù nei loro confronti. Anche perché, spesso, si sente dire, e tante sono le conferme, che loro, a differenza dei tronfi bipedi, mai tradiscono e sono riconoscenti.
Infine, l’attaccamento agli oggetti più disparati, che si ammonticchiano anno dopo anno tanto da entrare a far parte della nostra esistenza quotidiana. C’è solo l’imbarazzo della scelta: foto, soprammobili vari, attestati, quadretti, qualche libro, una sciarpa, e conchiglie e ghiande, addirittura: chissà dove, chissà quando. Quanti ninnoli di scarso valore ma che, pur se muti, quando li guardi, li tocchi, parlano quella lingua che va diretta al cuore, senza infingimenti!
Ti rimandano a ieri, e portano con loro ciò che sei stato, in momenti particolari, fissati dalla pellicola o dal materiale con cui sono fatti.
Eccomi, ora, in questa stanza dei miei ricordi: tante piccole cose di un gusto a volte discutibile, probabilmente. Diverse sono le fotografie, tra panorami, di gruppo, di amici. Quelle in bianco e nero non c’è bisogno di datarle; sono di un’epoca lontana, e per questo ancora più affettivamente care. Senza colori, senza pose studiati, senza le tecniche mirabolanti di oggi. Photo scattate da dilettanti, anche per caso, senza pretese. Eppure, in quei volti giovanili, sorridenti, scanzonati, c’è una parte della mia vita che ancora mi trascina da lei, da quelli che mi erano accanto, da quel che ero in quel momento.
Ripensandoci, non tutto rideva, ma la vita sì: anche se non capivo, quella era serena, felice. Quella serenità e felicità che poi, nelle altre foto successive, si è andata a smarrendo, annacquandosi nel labirinto dei doveri, degli impegni, delle scadenze. Ma che calore emanano ancora! Che intima gioia fanno rivivere! Scintille d’affetto sfavillanti che rimangono nel piccolo firmamento che ognuno di noi porta da sempre dentro.
Oltre alle foto, che rimandano volti noti ormai solo a me, oggetti che hanno una loro storia, siano stati regalini o acquisti di un significato, di un momento, particolari. In evidenza, anche quelli, perché se scivolassero in un cassetto, la loro fine sarebbe certa. Un orologio che non funziona più; un portapenne, la cui pelle è stinta; una lente d’ingrandimento, caduta, e perciò con una piccola ragnatela; i gagliardetti del calcio, e altri ancora.
Forse troppi, tanto che a volte mi crea una confusione per le date e per come gli ebbi. Affetti, però, che rimangono chiari ancora oggi a distanza di anni. Lo stesso percorso che si prova sfogliando un album di famiglia. Parenti e amici che si affollano subito appena lo apri, quasi volessero materializzarsi e trascinarti con loro; rivivere con loro quel periodo, quell’evento: che emozioni!
Oggi, con le nuove tecnologie che io non frequento, non c’è l’immobilità delle istantanee; filmini, o altro, e i protagonisti che si muovono, e parlano, come lo facevano nella realtà. Più belli, forse, sicuramente più realisti, più emotivi se si vuole: dipende dalla generazione, credo. Noi, avevamo modelli, stili di vita, valori che oggi sono quasi scomparsi, come è naturale nelle evolversi della storia dell’uomo. Troppo velocemente, per me, ma questa è la vita come si sente dire sempre. Certamente, non la mia, abituato ormai ad altri tempi, ad altri ritmi, altri orizzonti.
Mi rendo conto: sono sorpassato, e trovo inutile, puerile, atteggiarsi a contemporaneo quando sei un passato prossimo. Solo, pur accettando questo passaggio, voglio tenere il retaggio che mi ha accompagnato da sempre: perché rinnegarlo? O rifiutarlo? Sono frutto di altri tempi, con i loro pregi e difetti, virtù e debolezze, fantasie e desideri che si ritrovano, ormai, solo in qualche soffitta. E affetti, tanti: semplici, genuini e profondi, duraturi.
I giorni corrono, così come i mesi e, inarrestabili, gli anni. Qualcosa devi portare, in te, che ti faccia sopportare questo, inarrestabile logorio di ciò che siamo e di ciò che ci circonda. Un’occhiata, anche se di sfuggita, ad una foto incorniciata, e già ti rendi conto dei cambiamenti, a volte della scomparsa, di quanto l’istantanea ha fermato in quel momento. Cerco di ritornare, quando posso, in luoghi particolari; più che frugare nella memoria per rivedere ciò che mi hanno lasciato, rincorro quelle trepidazioni, quel pathos, quelle sensazioni che non riesco a descrivere; e la commozione che, ritrovandoli, non sono più gli stessi, o sono svaniti.
Spesso mi chiedo perché mi soffermo a meditare su tutto il mio passato; rinvangare, e zappettare, le mie esperienze, più o meno lontane, cosa possono darmi più di quanto io ho già abbia? Non ne ho la risposta, e non la cerco, onestamente. Certo, quando era attivo, impegnato quotidianamente con la mente e con il corpo, ho avuto pochi attimi di riflessione. Eppure, proprio in quei tempi che sembravano sempre fuggevoli, e li rincorrevo, si erano già sedimentate quelle affezioni, che poi sono cresciute ed hanno preso il loro posto dentro di me.
Gli “amori” giovanili; sbandatelle adolescenziali; qualche testa – coda più avanti. E poi persone carissime, indimenticabili, fondamenta del mio essere. E, con loro, oggetti e luoghi che le hanno completate. Un piccolo universo personale, con il sole, i pianeti e le stelle che spero, credo, ancora mi sono vicini almeno tanto quanto io lo sono verso loro. Ecco, cos’è un affetto: un sentimento che nasce, cresce e ti accompagna per sempre.
Si può dire che anche l’amore, se non di più, ha le stesse caratteristiche, e non sono certo io in grado di fare la graduatoria. Io, però, per quanto è stato il mio percorso, soffermandomi a ripensarlo, credo che l’amore dell’uomo sia un moto del cuore, e segue i suoi palpiti, più forti meno forti. L’affetto, invece, è uno slancio forse meno nobile ma i cui battiti non sono sincopati ma crescono nel tempo fino al suo divenire.