Un leggero velo | Franco Corsetti

Un cielo a sprazzi, stamani, quando alzo gli occhi uscito dal borgo. Il clima è cambiato, lo sento bene, e la vista in alto me lo conferma. Le nuvole non sono più candide e rade ma plumbee nel centro, e macchie di un azzurro cupo, non quel color pastello delle lunghe ore antimeridiane estive.

L’olivo perde qualche foglia, giallastra; in terra, i malli scuri, e anche verdi, caduti dai noci a causa del vento. Si va verso la fine di una stagione e questi sono i segnali che lo confermano.

Io non sono preso alla sprovvista; la mia nota freddolosità mi fa vestire subito pesante: meglio sudare che battere i denti che, poi, potrebbe costringermi a ripararli, e capirai che noia!

Comincia, lentamente ma con costanza, il mio lunghissimo periodo di malinconia. D’altronde, è impossibile essere malinconico col sole che batte forte, l’umidità asfissiante e la vecchia TV -di nome e nei fatti- che, pur di tenerti allegro ti martella tutte le 24 ore con films, riviste, intrattenimenti che hanno, più o meno, la mia età: non ti viene malinconia, ma la rabbia si!

Ecco, è con quelle nuvole un po’ così, qualche foglia per terra, un cielo indeciso che il mio umore assume il colore che tra poco diventerà caratteristico anche fuori di me.

Sono momenti in cui immagino come avrei potuto affrontare episodi lontani legati a lunghi momenti di felicità e serenità se, invece, che d’estate, li avessi vissuti d’inverno: sarebbe cambiato qualcosa?

Certo, la pioggia, il freddo, il vento non ti aprono: come puoi godere un bel panorama se il clima non ti aiuta! E’ così che rafforzo quelle esperienze antiche che ancora mi riscaldano tutte le mattine, anche le più buie.

Il declinare della bella stagione, allora, non era così negativo come oggi. Ero giovane, non dico forte né alto, nemmeno bello, ma ero giovane. Ero curioso, magari non parlavo molto, ma tutto il nuovo che incontravo lo catalogavo, lo studiavo mi stupiva così tanto che la memoria me lo rimanda ancora.

Non c’è più, purtroppo, la brillantezza, l’aspettativa, la fiducia che quelle esperienze si potessero ripetere con leggeri cambiamenti, ma sempre con la stessa pienezza di sentimenti, di slanci, di passioni.

Archiviavo, e mi dicevano: questa è la partenza; domani, il prossimo anno, farò in modo di ripetere questa avventura, questa vicenda, questa storia. C’era la speranza.

Il mondo girava, con altri interessi, altri incontri, altri luoghi e volti, tanto che l’archivio si faceva sostanzioso. Mi dicevano: verrà il giorno che raccoglierò quel bandolo della matassa, e srotolerò tutti gli attimi più belli di ieri.

Raccoglievo, vivevo, archiviavo. Non era faticoso; lo facevano tutti, e io mi adeguavo. Il tempo però cominciava a degradare verso ovest. Lontano, ormai, l’est, e lo sfrigolio del sole che sbucava, con forza e colori, dietro la collina. E poi quando il sole raggiungeva lo zenit, che entusiasmi e che stordimenti! Archiviavi automaticamente perché niente dovevi perdere e tutto ciò che ti circondava era di tua proprietà: le emozioni, le impressioni, i rapimenti; e, se c’era il temporale, l’arcobaleno spuntava poco dopo.

Si dice sempre, soprattutto oggi, che tempi memorabili! Tempi irripetibili, ahimè, troppo originali per farne una copia; unici, e che si allontanano giorno dopo giorno. Il tempo cambia. Un rombo di tuono lontano; qualche folata di vento non più fresca ma fredda; un ricordo perduto, così, senza avviso, con dolore.

Non un dolore fisico (solo in minima parte), ma interiore. Foglie morte a terra , e così cala un velo leggero sugli occhi perché capisci che questa è la vita, e ti viene il sospetto che sia sempre stata lei l’artefice della tua esistenza, anche quando credevi di avere il mondo ben stretto in mano.

Il cielo è velato, e tutto sembra si fermi, si metta in attesa di qualche cosa che, pur essendo lontano, prima o poi apparirà. Che giorno è oggi? E’ importante? Certo! Non devi  mollare, che diamine! Oggi è un venerdì qualunque; un giorno feriale, con poche incombenze: non un festivo, che fa più male.

Un giorno qualunque con la solita piccola pena. Un impegno sgradito; una bolletta che, come le fratellastre, non si stanca mai di farti incavolare; una fitta antica, di un’improvvisa memoria che ti ha lasciato dolorante, e che non vorresti si ripresentasse.

Un giorno qualunque di un uomo qualunque, con il caldo che se ne va, e non puoi farci niente. Diverso tempo fa sognavo atolli corallini, lagune blu, sabbia bianca finissima, e due palme perché amante del cocco. Una vacanza lunghissima? Non so, ma era di moda l’esotico, sole e mare tropicali; era un’utopia, e infatti ci ritrovavamo quasi tutti alla spiaggia semilibera della Darsena di Viareggio.

Ma era bello fantasticare, eccome! L’utilitaria, la radiolina, magari il mangiadischi; un telo e gli zoccoli: era festa assicurata, anche per gli occhi. Un bagno tranquillo, un’asciugatura veloce, e quella piccola, familiare trattoria di là dalla strada: la fame era forte, ma quegli spaghetti, quel fritto di pesce, le patate arrosto, duravano pochissimi minuti sul tavolo.

Non c’erano veli che tenessero; solo quelli chiamati pareo, se ricordo bene, che trasmettevano la famosa frase: “Guardare, ma non toccare!”, e l’occhio nostro si beava del panorama sottostante.

Oggi, niente atolli, niente Tropici, niente veli tanto siamo quasi arrivati alla totale nudità. A me basterebbe una lenta, dolce passeggiata sul Molo di Viareggio, su fino al faro, e perdermi nell’immensità del Mar Ligure riannodando gli eventi passati. Non credo di chiedere troppo, ma ancora – sembra quasi impossibile. – non sono riuscito a concretizzare. E ne sono amareggiato, insoddisfatto, tanto da far lievitare quel senso di tristezza che già mi appartiene da sempre.

Così, mattina dopo mattina, mi devo inventare come trascorrere una giornata che abbia un minimo di novità, uno spunto di modesto ottimismo, un viaggio immaginario condito da eventi fantastici. Mentre nella bella stagione la mente può volare tranquillamente lontana e presentarmi soluzioni che catturino la mia fantasia, con la brutta mi è sempre più difficile inventare, o reinventare, un evento che mi possa dare un briciolo di felicità.

L’estate ha pochi veli; il sole la fa da padrone e qualsiasi vacanza, pur se lontanissima, mantiene il suo sapore, quell’amaro di sale e quell’odore di salsedine che ti conciliano col mondo. Le mezze stagioni, invece, se ancora esistono, mi lasciano sospeso, anche incerto, e sono carenti di memorie forti. Tutto è a metà, così che cammino senza quasi pensare, senza una meta ben precisa, tanto le gambe e l’istinto conoscono bene la strada, anche se, improvvisamente, scocca un’idea strana che buca il grigiore di una vita monotona.

E se non mi fermassi? Se continuassi, dove potrei arrivare? Ce la farei? E mi rispondo: sì, ce la farei… . Poi, la ragione, il dovere, mi riportano al presente, al mio tran-tran che ha una sola via d’uscita: i libri. Ho cominciato a legger li tardi, e ancora tardi li ho amati. Niente Letteratura, qualche poesia, l’arte, e la Storia. Ancora, con quella, riscoprire le nostre origini, specialmente oggi che certe revisioni hanno del clamoroso, e che mi aiutano sempre più a conoscere l’Italia e l’italiano, e ne rimango continuamente disilluso.

Ma come? Siamo proprio così? Addio, sogni di gloria!

Ed è allora naturale, per me, volare con la mente, e quando un ricordo s’intrufola in profondità, a volte dimentico di salutare i rari conoscenti che incontro, sempre gli stessi, e lo faccio in ritardo. In quei momenti, non ci sono veli che tengano: tutto è chiaro, limpido, fresco come lo era, quel fatto, decenni fa. Mi lascio trasportare da quel sogno ad occhi aperti: luoghi, volti, atmosfere che cerco di rivivere come allora, e mi sento fanciullescamente felice.

Altri tempi, altre epoche che non torneranno mai più, e per questo sempre più amate, visceralmente. Nomi che non dimentico; luoghi come punti di riferimento, anche se, quando sono riuscito a rivederli, l’impatto è stato forte.

Il tempo che scorre non ha pietà né dei volti né dei luoghi; e non è una scoperta inaspettata, ma l’affetto che ancora mi mandano è rimasto quello della prima volta.

Un nome, e una storia; un luogo come sua cornice. Come una fotografia, tutto è chiaro come allora, anche se era in bianco e nero. E quando questo mi accade, in una mattina invernale, infagottato e quasi rattrappito, manca solo che nevichi.

Perché le emozioni, i sentimenti, le tenerezze che si affollano dentro di me, si comportano come la neve: scendono dentro senza far rumore. 

E sui miei occhi, un po’ stanchi e bagnati, senza far rumore, scende un leggero velo di commozione