Pescia, la mia città. Non mi sento tanto buono… | Italo Pierotti

Le feste sono trascorse, speravo mi rendessero più buono…ma non è stato così

Attorno a me ho visto tante lucine, tante lucine colorate e le vetrine addobbate, poche. Molte, invece, quelle punteggiate da cartelli affittasi e vendesi.

Vedo nel mercato in piazza forse la metà dei banchi che c’erano e stessa musica in piazza del grano per frutta e verdura.

La lingua parlata che ascolto tra la non tanta gente, mentre cerco un paio d’etti di acciughe sotto sale, italiane però perché le spagnole costano il doppio, non è più il pesciatino ma una sorta d’ostrogoto a volume più alto del normale.

È tipico dei vecchi guardare indietro e con quell’atmosfera non mi sento tanto buono.

I gruppetti in cima di piazza, sotto il Comune e dal Pulter, o davanti la Pubblica Assistenza e all’edicola di fianco allo Splendor e al Circolo degli Alberghi e al bar di Ponte all’Abate, sono tutti spariti.

Discutevano dei problemi, dei progetti, delle soluzioni e degli amministratori di Pescia. Quasi sempre in disaccordo e in critiche feroci. Era però un percorso vivo, virtuoso e formativo: dalla gente ai partiti, dai partiti al Comune, dal Comune di nuovo alla gente.

Ora non si sa nemmeno più chi c’è al Palazzo del Vicario. Improbabili consiglieri eletti in liste che sembrano comiche imitazioni della politica e che, o stanno lì facendo finta di capire, o si squagliano come neve al sole.

Pian piano, negli anni trascorsi e con la sapiente e interessata regia di chi è maestro nel manovrare sotto banco, hanno fatto sparire tutto quello che per Pescia era un vanto e ne rappresentava l’identità, portando anche benessere e una discreta qualità della vita.

La Biennale del Fiore, dopo 50 anni è scomparsa in un assordante silenzio, mentre altrove, anche vicino a noi, nascono con grande successo mostre legate al fiore e alle piante.

Del mercato dei fiori meglio non parlarne, tra un po’ i nuovi pesciatini non sapranno nemmeno più a che serve quella struttura fatta di alti piloni vicino allo stadio e probabilmente non hanno mai visto un garofano.

E non mi sento proprio tanto buono quando penso che eravamo i padroni dall’acqua.

I pesciatini che ci hanno preceduto avevano speso i loro soldi e la loro intelligenza per costruire, nella piana lucchese, un importante impianto di captazione dell’acqua e un acquedotto che la portava a Pescia.

Di sicuro non avremmo mai sofferto la sete, anzi, grazie ad un accordo con un gigante dell’empolese che si chiamava Publiser, eravamo in grado di rifornire anche Montecatini e mezza Valdinievole, naturalmente a pagamento.

Ordini partiti da quelli che comandano a Firenze da oltre 50 anni e in un attimo l’acqua non è stata più nostra.

Stessa cosa per la spazzatura, bene o male facevamo da soli poi, d’un colpo siamo finiti a Gaggio Montano, che credo in pochi sappiano dove sia.

È per risparmiare, è per l’ambiente dicevano, sempre quelli di prima.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti, bollette comprese.

Eravamo padroni dell’impianto di Veneri che ci permetteva di tenerne sotto controllo l’uso e l’eventuale abuso da parte dei cartai di Villa Basilica.

Senza tanto chiasso è stato venduto a loro per quattro palanche, così potranno farci quello che vogliono. L’incasso doveva essere investito sul territorio venerese, naturalmente non s’è vista nemmeno l’ombra.

Avevamo, tra i primi, in collaborazione con l’Università di Sassari, un campo di piante madri dell’ulivo geneticamente certificate, probabile sia diventato un campo di patate.

Se penso a quel poco che rimane non mi sento tanto buono.

Quel fabbricato a Veneri, “le carceri”, utilizzabile in tanti modi, abbandonato da decenni, ci passi davanti e la vista fa invidia ai peggiori campi nomadi.

Per utilizzarlo ci vorrebbero idee intelligenti, quelle che mancano anche per il vecchio mercato dei fiori. Una struttura architettonicamente bella, perfettamente integrata al tessuto urbano, recuperata dopo decenni di incuria e con costi notevoli e desolatamente vuota.

Quando sento quelli che contano parlare di centro polifunzionale, che tradotto vuol dire: “non sappiamo cosa farci”, mi viene l’orticaria.

Rimangono anche i paesi della montagna, quelli che consentono di riempire la bocca con la parola “turismo”, rimangono nel senso che proprio son rimasti così com’erano, non è stato fatto niente, zero assoluto.

E non dimentichiamo Collodi col suo Pinocchio, ormai è più un sito archeologico che un parco dove i bambini vecchi e nuovi possano immergersi in una fiaba. Talmente nel dimenticatoio che non lo prendono in considerazione nemmeno quelli col cervello sgangherato che col politicamente corretto hanno aggredito Biancaneve perché i nani si offendono e La Bella Addormentata Nel Bosco, perché il principe è uno schifoso stupratore che bacia le ragazze mentre dormono.